Conosciuti da sempre come i fratelli minori dei seminali AC/DC, i Rose Tattoo rappresentano comunque una delle migliori realtà hard rock in tinta blues dell’ intera Australia.
Una carriera discografica praticamente trentennale, il carisma del leader Angry Anderson ed il periodo di popolarità ottenuto con la cover della loro “Nice Boys (Don’t Play Rock N Roll)” eseguita dai Guns’N’Roses sono tre aspetti rilevanti che ogni nuovo fan della band deve conoscere prima di tentare un qualsiasi primo approccio musicale. Da sempre, inoltre, i Rose Tattoo sono sinonimo di coerenza ed anche questo nuovo “Blood Brothers” è qui per ribadire tale concetto.

A qualche anno di distanza dall’ottimo“Pain” (album che ha segnato il ritorno dei nostri dopo un lungo periodo di inattività), Anderson e soci si gettano nuovamente nella mischia rilasciando un capitolo discografico che, però, soddisfa solo in parte le molte attese iniziali. “Blood Brothers”, e non poteva essere altrimenti, probabilmente risente della mancanza di Peter Wells alla chitarra, deceduto non molto tempo fa a causa di un male incurabile. Il suo prezioso e storico lavoro ha sempre contribuito in positivo alla riuscita finale di album ispirati e molto coinvolgenti, affiancando in maniera sanguigna e partecipata l’ugola grezza di Angry Anderson. Con la sua mancanza, i Rose Tattoo sembrano aver perso non poco smalto ed un album altalenate come questo “Blood Brothers” lo dimostra pienamente. Il rock sguaiato ed irriverente di brani come “Nothing To Lose” e “Lubricated”, infatti, sembra sposare in toto la tesi di cui sopra, per nostra fortuna frammentati da episodi di un certo spessore come la calda ed apprezzabilissima “City Blues” ed altri highlights come “Stand Over Me” e “Once In A Lifetime”.
Un vago senso di stantio, dunque, pervade inesorabilmente gran parte di questo platter. Manca la verve dei vecchi cavalli di battaglia ed il brio di un attitudine tipicamente rock che, in questa sede, risulta essere leggermente arrugginita. Non siamo dinanzi ad una vera e propria disfatta, l’album ha i suoi pregi ed i suoi difetti. Quello che lascia un po’ l’amaro in bocca, da questo punto di vista, è il confronto imbarazzante con il precedente e riuscitissimo “Pain”, distante anni luce dallo stanco altalenare di questo “Blood Brothers”.

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