Il gruppo italiano dei Revoltons viene fondato originariamente nel lontano 1991 e nel corso degli anni la formazione ha subito numerosi cambi, fino ad arrivare a quella attuale con la quale è stato registrato questo album di debutto accasandosi presso la prestigiosa etichetta LMP.
La musica proposta dai cinque ragazzi è un power prog di buona fattura, anche se piuttosto anonimo, e come quasi tutti i gruppi italiani hanno registrato l’album nei notissimi New Sin Studios.
Il sound è decisamente possente; infatti vengono preferite maggiormente le chitarre alle tastiere, che vengono relegate a un ruolo molto marginale risultando quindi un gruppo con una forte predominanza power, nonostante la musica non sia comunque così diretta ma più elaborata. Da qui l’impronta prog.
Alcuni passaggi fanno venire alla mente i Dream Theater, particolarmente in alcuni riff, anche se i Revoltons non possono certo ritenersi delle loro derivazioni. Altri passaggi mi hanno suggerito gli Elegy per via di alcune soluzioni di chitarra e di voce. Nel complesso però il gruppo italiano non si rifà troppo ad altri gruppi.
Ci si chiederà allora come mai l’ho trovato un po’ anonimo. Il perché è presto detto: i brani risultano un po’ troppo prevedibili il che potrebbe essere un bene per l’aspetto più diretto, ma sarebbe meglio cercare di differenziarsi un po’ di più dalla grande massa di begli album, e un male per l’aspetto più prettamente prog.
Ad ogni modo questo è pur sempre un debutto e quindi l’inesperienza compositiva lima parecchio questo piccolo difetto.
Con ciò non voglio dire che non ci siano buoni brani, anzi. L’impatto sonoro creato in “The Old Walls” è veramente imponente anche se le tastiere potevano essere messe maggiormente in risalto per dare un effetto molto più spettacolare. Si sentono veramente poco ed è un peccato.
Ho trovato molto bella “Reality Met Childhood” in cui i riff aggressivi uniti a una maggiore presenza delle tastiere rende maggior giustizia al sound del gruppo.
Decisamente sublime la lenta acustica e drammatica “Malcom’s Drama” che precede una più diretta “Time For Worlds Inside”, uno dei brani che dovrebbe suggerire al gruppo la strada da intraprendere. Decisamente il brano migliore: molto prog e molto power, con uso molto più massiccio delle tastiere, anche se non capisco perché relegarle sempre ad un ruolo di secondo piano tranne nei soli.
La successiva “The Autumn Believer” è decisamente un brano Power Speed in cui però il cantante non mi ha convinto molto: non mi sembra molto adatto nel cantato nei toni troppo alti.
Credo di aver già detto tutto. Un bell’album per un gruppo ancora inesperto ma che ha un gran bel potenziale. Spero riescano a farlo venire completamente fuori cercando un loro sound più definito.

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