Senza più maschere nè etichette: via quella del Pure American Metal e dentro quella più veritiera Thrash statunitense per rinnovarsi nei “titoli”, senza toccare l’ineffabile sostanza. A poco meno di due anni dalla piattezza rappresentata da ‘Lies In Black’, i Resistance ritornano con un nuovo lavoro che non fa altro che confermare deficit ed impressioni evidenziate dall’anonimo debutto. Cambia lo sfondo ma il soggetto dell’artwork (l’angelo) rimane immutato, cambia il titolo ma temi, difetti e lacune sono sempre le solite. Nessun neo da ricercare in una produzione sempre eccellente, buone capacità esecutive e brani tutto sommato aggressivi, ma sempre poco godibili. I problemi sono ben più gravi.

Qui ciò che non convince, con gravi conseguenze sul risultato finale, è il songwriting in ogni sua accezione e sotto ogni profilo venga inteso. Il modus operandi dei cinque statunitensi non si smuove di una virgola dal già citato esordio, ereditando sia pesanti fonti ispirative sia tutti gli interrogativi legati a brani forzati e legnosi. Echi di Agent Steel ed Exodus fanno ancora una volta la loro pesante comparsa tra le righe di un disco slegato, senza un anima, nè un preciso target. E’ così che quegli interrogativi che chiudevano ogni ascolto del precedente lavoro, qui si fanno sempre più insistenti, assordanti, fastidiosi. Dimostrando una staticità disarmante, la band a stelle e strisce non fa altro che indugiare sulle stesse strutture per una tracklist in cui è regolarmente riproposta l’alternanza tra strofa veloce e chorus lento in tutte le salse possibili ed immaginabili. Puzza di riciclato che irrita e diventa insopportabile quando, a far crollare il già fatiscente castello, ci pensano passaggi scollati, fuori contesto e di gusto opinabile. Un calderone immenso di difetti, peggiore del precedente e su cui evidenziare altri difetti sarebbe veramente impietoso. Fermandosi ai doveri di recensione spietata e veritiera cronaca, resta da completare lo sfascio totale annoverando il lavoro vocale di un singer, sì dotato, ma sempre fuori binario e totalmente isolato dal lavoro dei compagni. Un treno che va per la sua strada per l’intera durata del disco, sfiorando il Kitsch in più episodi come nell’inappropriato growl di ‘Paternal Shift’. Sarà chimica di gruppo, sarà ingenuità, cecità totale ma stavolta gli interrogativi divengono tristi certezze, sicurezze nello sconsigliare di aggiungere alla lista della spesa un lavoro a tratti imbarazzante. Senza appello.

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