Dopo due anni di silenzio si riaffacciano sul mercato i californiani Redemption e nulla sembra essere cambiato (fatta eccezione per una leggera modifica alla line-up).
Giunti alla fatidica (“oooooh” di stupore grazie!) prova del tre con questo “The Origin of Ruin”, gli americani, che vantano grossi nomi tra le proprie fila (Alder dei Fates Warning e Versailles degli Agent Steel su tutti), ci propongono un’altra dose di sano Prog metal melodico dalle sfumature talvolta Power, talvolta Heavy, suonato (manco a dirlo) ottimamente.
Poche differenze stilistiche tra il precedente (ed ispiratissimo) capitolo discografico (“The Fullness of Time”) e quest’ultimo lavoro: trovandoci davanti a musicisti esperti e devoti al metal progressivo non serve menzionare lo sfoggio delle doti tecniche del singolo membro, facendo una panoramica possiamo dire che incantanti sono le melodie di piano e tastiera, arrangiate con molto gusto (tastiere che mai come prima troviamo così in primo piano), per quanto riguarda il tappeto elettrico affidato al rifferama di Versailles e Van Dyk c’è da dire che le parole versatilità, potenza e virtuosismo sono le più appropriate; nota di merito alla sezione ritmica: abbiamo infatti un Chris Quirarte (attivo anche nei progsters Prymary) incredibilmente ispirato, vero pistone dell’intero motore Redemption…ed infine, ultimo ma non ultimo, troviamo la colonna portante dei precedentemente nominati Fates Warning Ray Alder, le cui linee vocali sono calde ed avvolgenti, una garanzia come sempre.

Venendo a parlare di “The Origin of Ruin” di per sé, si può affermare che ci troviamo davanti ad un disco di medio-buona caratura, parlando sia in termini di composizione che di produzione, le tracce sono una per una contaminate da venature che vanno dal Power metal (sconfinante spesso nello Speed), all’Heavy, insomma, si può dire che ce n’è per molti palati.
Difficile trovare difetti veri e propri in un album simile, si può solamente (dando un’ascoltata ai suoi due predecessori) notare un quantitativo di ispirazione leggermente inferiore rispetto al passato: capita infatti che “The Origin of Ruin” si lasci spesso ascoltare senza trasportare l’ascoltatore…e francamente ritengo che sia una cosa molto poco piacevole…
Detto ciò, assoli e progressioni da capogiro a parte, possiamo affermare che se questa “prova del tre” è stata superata (deciderete voi al momento dell’ascolto), è stata superata col minimo sindacale; inutile dire che da un organico come quello che si trova al cuore dei Redemption ci si voglia e ci si debba sinceramente aspettare di più.
Concludendo non ci troviamo davanti ad un titolo poco meritevole d’ascolto o sgradevole, bensì abbiamo tra le mani un disco il cui mancato ascolto non nuoce alla salute…non so se mi spiego…

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