Proviamo a scindere la carriera dei Neurosis in due grossi tronconi, in totale quasi due decadi. Nel primo blocco che va da Pain Of Mind (anno di grazia 1988) a Times Of Grace del ’97 abbiamo assistito ad una serie di capolavori, dischi apodittici nella loro urgenza espressiva, andando a raggiungere una completa maturazione artistica (che comprende sapienza tecnica e compositiva, slancio spirituale, elemento precipuo della poetica del combo californiano). Tasselli indipendenti nella loro caratteristica sonora, ma che messi un dopo l’altro fanno gridare al miracolo.

Nel secondo blocco, che si sviluppa in altri dieci anni, da Times Of Grace a quest’ultimo Given To The Rising non possiamo dire di essere così sorpresi. Sarà che per la quinta volta il combo californiano si affida ai servigi di Steve Albini, tutto sommato producendo un sound che ormai da otto anni è la caratteristica di un disco dei Neurosis. Il che non è necessariamente un difetto – si potrebbe dire che è il punto d’arrivo di una ricerca durata anni e che finalmente è giunta ad un definitivo equilibrio. Invece, tutto ciò rischia di essere solamente prevedibile e ovvio quando anche le composizioni richiamano le stesse procedure compositive, se per esempio ripeschiamo dallo scaffale Times Of Grace e paragoniamo la sua opener con quella di questo nuovo disco.

Il fatto è che questa band rischia di rimanere invischiata nella pania delle proprie ideologie, del suo misticismo, del suo bisogno di catarsi. Comporre questa musica è per loro vitale, un riconciliarsi con le forze della natura, con la terra, coi loro valori (spirituali, pagani nel loro appartenere a relazioni umane). Ovvio che l’artista lavori per sé, che scavi dentro il suo ‘io’ attraverso una ricerca personale che giunga alla serena accettazione della vita, quando questa ci appaia priva di senso, imperscrutabile, paradossalmente inumana. E’ per questo che di fronte a tale opera non possiamo che rispettosamente rimanere in silenzio, alleati nel loro approccio di analisi e superamento del dolore.
Ma non possiamo rimanere impassibili, quando sentiamo ormai da anni lo stesso disco, eccezion fatta per la collaborazione con Jarboe (ex-Swans) di qualche anno fa.

Di fatto si rischia di perdere il significato di un’operazione dapprima spontanea e responsabile, ricca di eticità e di rispetto nei confronti di chi essa è destinata.
Qui non si tratta di operazioni commerciali come certo pop da classifica. La musica di simili territori deve necessariamente aspirare alla continua ricerca: di sé, di nuovi avvicinamenti alla verità.
Sia ben chiaro, questo non è poi un disco così scontato.. Ci sono certamente qua e là slanci post-rock e tentativi di appropriarsi di linguaggi diversi (To The Wind), inserendosi evidentemente anche la lezione intimista del Von Till acustico (If I Should Fall To The Field, su tutti). Si ricorre molto spesso al drone, al suono monolitico e mantrico di un synth posto lì, in mezzo al brano per due, tre minuti, a mio avviso senza alcuna funzionalità se non quella di “skippare” la traccia.
Ad ogni modo credo il grosso sia stato già fatto da un disco come Times Of Grace, che qui non è stato affatto superato e rimane a mio avviso il punto più luminoso della loro carriera. Questo è solamente un disco dei tanti fatti finora dai Neurosis, un disco che sa regalare spunti avvincenti e che sa purtroppo anche annoiare.

Con questo disco vogliono ri-esplorare i torbidi meandri di fiumi maledetti e oscuri. A ben guardare una scelta giustificata da ciò che sta accadendo nel mondo, un periodo senza dubbio molto critico. Questo ci da dei Neurosis l’immagine di una band sensibilissima e onesta. Avremmo però preferito meravigliarci di più.

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