I danesi Moonless, la cui fondazione la vediamo apparire nel 2008, debuttano con il loro primo full length “Calling all Demons”. Li avevamo già presenti sulla scena metal/hard rock grazie all’uscita del loro 12” “Borned Burn Out”, dove mischiavano egregiamente un hard rock e stoner dai gusti retrò, sabbathiani, con una punta hendrixiana e dove la voce di Peterson , alquanto graffiante, faceva risaltare ancora di più il vintage dei loro intenti… Intenti che per altro hanno mantenuto ampiamente in questo “Calling all Demons” dove alle caratteristice sonore di ciò che avevano precedente elaborato ci troviamo una bella dose di doom.
Peterson e co. si sono già fatti conoscere bene nella loro patria, tramite concerti supportando nomi come St. Vitus e Pentagram, hanno fatto che si i loro connazionali, in linea generale non propriamente amanti del doom, lo apprezzassero a tal punto di essere considerati molto in alto sulla scala metal. Ebbene questo gruppo a parer mio è una bomba . In primis, essendo una nostalgica di Electric Wizard, Kyuss , Angel Witch ed essendo amante di Jex Thoth posso dire che questa band racchiude in sé il meglio del passato, catapultandolo in un presente dove manca una certa dose di classe , che ormai persino nel doom ho visto scemare di un bel po’. Essere originali non significa per forza creare uno stile nuovo o sperimentare sonorità nuove per attirare attenzione: questo gruppo ha saputo dosare e calibrare perfettamente evocazioni sonore del passato, inserendole in un contesto molto difficile, dapprima come quello della Danimarca, dove abbiamo già detto sono visti di buon occhio magari gruppi che possano ricordare sonorità alla King Diamond o Mercyful, quindi metallo direi abbastanza pesante. Loro invece, hanno saputo far apprezzare nuovamente un genere già conosciuto e che con le sue caratteristiche e tematiche sataniche ed oscure le ha dipinte con un doom psichedelico, un hard rock alla vecchia maniera, che può far dire di questo album che sia un nuovo capolavoro nel genere metal che occupa.
Sì, evocazione. Evocazione al passato, ma evocazione anche di emozioni; e parecchie me ne sta dando questo album mano a mano che lo ascolto. Ci sono 6 pezzi. Partiamo alla scansione di questo “tesoro infernale” :

Si inizia con “Mark of the Dead”. Parte strumentale e vocale in linea perfetta, equilibrate su tono apocalittico ed infernale del testo, che danno riff dopo riff un’immagine di una lenta distruzione, morale e fisica dell’uomo davanti a questo marchio della morte.

Si passa a “Devil’s Tool”, altro gioiellino di questo album. Anche qui riff dopo riff e la profondità non troppo oscura del basso ma direi più insidiosa, se mi concedete questo termine, fa apparire questo strumento del diavolo davvero accattivante. La voce di Peterson è fenomenale. Il ritmo è lento, erotico, un vero e proprio “giocattolino” di cui tutti dovremo abusarne..

“Horn of the Ram” è un’ ode, anzi, sembra più un testo facente parte di una descrizione prettamente ritualistica satanica o comunque immaginifica satanica e questo è l’intento del doom classic in cui loro riescono ad essere oltre che bravi interpreti, riescono decisamente ad esserlo in modo davvero convincente e convinto, credo proprio. La voce di Peterson, la sua interpretazione è talmente carica e alta che non lascia intravedere dubbi su quello che sta cantando. I riff qui non sono sprecati ma tutto è collegato, omogeneo ed unito in modo divinamente infernale. So che mi piglierete per fuori di testa, ma in alcuni punti il cantante nella vocalità mi ricorda tantissimo Danzig, persino, quindi qui il voto si alza decisamente e sempre di più, per i miei gusti personali.

“Calling all Demons”, attendevo questo pezzo. Ero curiosa se il testo omonimo facesse da perno a questo album per ora meraviglioso. Si. Ebbene sì. L’attacco di Peterson è da orgasmo. Atmosfere sabbathiane, a tratti ci sento anche una punta di Motorhead. Insomma, una evocazione sempre più al passato, ma se ci pensiamo bene quelle erano pietre miliari, che ci hanno fatto sognare, sospirare, immaginare… Anche la steccata nell’urlare nel ritornello “Calling” è fantastica, almeno io una leggera stonatura gliela sento, ma fa parte di questo bel giochino che sta riuscendo alla perfezione. Chitarre e basso fanno un porco e sporco lavoro nel senso più positivo possa descrivere. Posso dire che questo pezzo è il perno di questo full length sia per parte strumentale, che vocale. Il ritornello è orecchiabile, ma fortunatamente e giustamente, solo per pochi secondi. L’assolo di chitarra è sensualissimo, non troppo potente e quello che più mi attira in tutto ciò è che ho ritrovato finalmente un album, che seppure sia corto, mi sta facendo fare un bel viaggetto non propriamente dalla caratteristiche immacolate..quindi riuscita ottima di questa chiamata demoniaca.

The “Bastard in Me”, gran dose di rock doom classico in questo pezzo, un bel trotto su questo cavallo bastardo che c’è dentro di ognuno di noi, o comunque ci dovrebbe essere, anche se in quel momento sembra averlo realmente solo Peterson… Decisamente potente e vibrante. I riff sono fantastici, il basso è da paura e le variazioni ritmiche che si possono ascoltare stanno a pennello e si incastrano meravigliosamente con la voce del cantante. Mi sto infatuando di questo doom danese, anche se non è una novità in questo campo per me.

Purtroppo sono giunta al pezzo finale : “Midnight Skies”. Olè, qui addirittura non so se per illusione del mio orecchio o meno ci capto persino un leggero sentore di Ac/Dc, ma solo nell’intro. Anche qui, Peterson non si smentisce e da prova della sua egregia e particolare abilità vocale. La cosa che mi continua a colpire in questo album è che non c’è nulla di forzato, è tutto convinto questo album e ha convinto anche me. Non hanno voluto copiare proprio nessuno, ma sono riusciti a catapultare atmosfere nostalgiche in un presente che ne ha davvero bisogno, ha bisogno di emozioni forti, di riff, di basso di voce che graffi ma non necessariamente spacchi pareti sonore. Tutti hanno partecipato alla riuscita di questo album a dir poco contagioso. C’è bisogno di aggressività calibrata, di sensualità , di carica erotica, di rabbia, di predicazione infernale, esattamente come questo album rilascia nell’aria. E’ straordinario. Il finale vagamente evoca Victim of Changes dei Judas Priest, ma solo vagamente, a causa dell’urlo liberatorio poco prima di pronunciare: “Save me from myself …. But you don’t understand” . La parte strumentale che posticipa la parte vocale, se ascoltata al volume che la sto ascoltando in cuffia io, è da infarto. Applausi a bocca aperta veramente. Ho finito l’abum. Il mio voto direi che è abbastanza intuibile. Buon ascolto, io me lo riascolto da capo.

A proposito dell'autore

Post correlati