I Mindfunk sono un gruppo che potrebbe tranquillamente essere definito una “leggenda underground”. Nonostante il proprio talento, che infatti gli guadagnò inizialmente un contratto con la Sony/Epic nonchè diversi riconoscimenti fra i quali il terzo posto assoluto nella classifica dei migliori album del ’91 su “Kerrang!”, la band non riuscì mai veramente a sfondare, finendo per sciogliersi nel 1995 dopo la pubblicazione del terzo disco.
Nonostante questo, la musica del gruppo del New Jersey è sempre stata interessante e innovativa, evolvendo in ogni disco e spaziando dal funky all’hard rock, dal “grunge” fino al proto-stoner.
Tutti musicisti preparati e già con esperienza alle spalle, i Mindfunk per questo debutto omonimo hanno unito le forze ed hanno dato alla luce il loro lavoro di certo più accessibile e forse nel complesso anche il migliore.
Descriverne in breve il sound non è impresa facile: immaginate un ipotetico mix fra Living Colour ed Alice in Chains, con un pizzico di Faith No More ed un piglio vivace e scalpitante, ed avrete grossomodo un’idea di dove collocare la proposta musicale della band.
Tuttavia soltanto l’ascolto di questo sorprendente album può rendere giustizia alla vitalità della musica dei Mindfunk: l’iniziale “Sugar Ain’t So Sweet” (primo singolo estratto) mette subito in chiaro che Dubar e compagni fanno sul serio, con il suo tiro e la sua varietà di suoni e atmosfere, mentre la veloce “Ride & Drive” è una grandiosa scarica di adrenalina, grazie all’esaltante drumming del creativo Reed St.Mark (ex-Celtic Frost) e all’incalzante coppia di asce Svitek-Coppola.
Ma è con “Bring it On” che i Mindfunk svelano chiaramente l’anima oscura che permea costantemente il loro sound e che verrà esplicitata ancor di più negli album successivi: un brano che incarna perfettamente lo spirito dell’hard rock dei primi ’90, dal mood plumbeo ma profondamente melodico, con un meraviglioso lavoro di chitarre ed un incedere angosciante ma vario e irresistibile.
In realtà ogni canzone ha una propria personalità e meriterebbe una descrizione, dalle veloci e coinvolgenti “Big House Burning” e “Innocence” al puro funk-metal di “Touch You”, dalla lancinante, tenebrosa “Fire” fino all’acustica “Sister Blue”, particolare nel suo contrasto fra ritmo vivace e sapore malinconico.
Proprio questo contrasto fra luce e ombra, fra giri funky e melodie sofferte, fra assoli di chitarra ed atmosfere psichedeliche, fra ritornelli contagiosi e testi drammatici, è uno dei numerosi motivi che rendono il debutto dei Mindfunk un disco più unico che raro.
Un disco che a distanza di quasi 15 anni suona ancora fresco e moderno, primo capitolo della carriera di una band che alla fine ha raccolto molto meno di quanto avrebbe meritato, ma che ci ha ugualmente lasciato in eredità delle autentiche perle musicali che attendono solo di essere riscoperte dagli appassionati.

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