Non lo chiamavano techno-thrash, modern thrash, nè con altri audaci nomignoli da marketing ma cominciarono a suonarlo già alla fine degli anni ottanta. A distratti e novellini il monicker Mekong Delta non dirà moltissimo, ma sono sufficienti poche chiacchiere ed ancor meno ascolti per fiutare la caratura del nome di cui si è al cospetto. Creata vent’anni fa, dall’allora capo della Aaarrg Records Ralph Hubert, la band teutonica ha sempre vantato quello spirito intraprendente, ispirato ed innovativo che, se da un lato continua a pagare in termini di credibilità, dall’altro ha portato a non ricevere mai un’adeguata attenzione in una scena notoriamente oltranzista. Oggi, a distanza di dieci anni circa dall’ultimo sussulto, l’audace Ralph decide di ritornare in pista con il solito entusiasmo, voglia di rimettersi in gioco e la migliore formazione mai avuta al suo servizio.

Un fenomenale Uli Kusch (per la cronaca già batterista di Holy Moses, Helloween, Gamma Ray) prende posto dietro le pelli, al microfono compare il meno noto ma dotato Leszek “Leo” Szpigiel (già Wolf Spider) ed un altro fenomeno del calibro di Peter Lake dei Theory In Practice si piazza alle sei corde. Il risultato? Tralasciando ogni nota su un valore tecnico assolutamente sopra la media, ‘Lurking Fear’ è un disco superiore per attitudine, songwriting e personalità. Unica nota “stonata” è quel fattore innovativo, che ha da sempre caratterizzato le transizioni tra gli album dei nostri ma che qui è quasi totalmente assente, a favore di un discorso quanto più continuativo possibile con il congedo di una decade fa. Poco male se il risultato sono i cinquanta minuti di thrash tecnico, personale e progressivo (nel senso più letterale del termine) di ‘Lurking Fear’. Un disco omogeneo nel modus operandi ma vario nel songwriting che cresce e si lascia scoprire con l’avanzare di una tracklist saziante e completa sotto qualunque punto di vista. Come da tradizione, l’atmosfera ricreata strizza sempre l’occhio ad un immaginario cyber e futuristico che riempie ogni spazio messo a disposizione da strumenti perfettamente affiatati. E’ così che viene concepito un disco pieno, denso, senza un calo degno di nota, nè una scelta che ricalchi il fare derivativo del mercato musicale moderno. Pezzi ora epici, ora ipertecnici, in cui la l’acida ugola di Leo trova terreno fertile per spezzare la monotonia tra lunghi interludi strumentali, delicati momenti al limite del sinfonico ed uno stretto passaggio di testimone tra coinvolgente aggressività ed un pathos che arriva dritto all’obiettivo di suggestionare. Un quadro che, senza rompere il trend passato nè reinventare nulla, caratterizza un lavoro fresco, fluido e propriamente moderno. Tra le migliori uscite thrash dell’anno.

A proposito dell'autore

Post correlati