Teutonici, massicci, e anche un po’ provocatori nel modo di presentarsi i Luna Field sono portabandiera di un death-black furioso e sperimentale. Ora al secondo album, questa volta per Black Lotus Records e non più per Season Of Mist, i tedeschi possono benissimo essere inseriti in quel filone di gruppi con sezione ritmica martellante, cantato in growl profondo e marcio allo stesso tempo, riff che si intrecciano in strutture complesse che si spostano per pochissimi attimi su note melodiche. Un nome su tutti può chiarire la loro musica: Belphegor, solo che qua il death è preponderante al black. E da questo gruppo i Luna-Field chiedono in prestito il mostruoso batterista, Tomasz Janiszewski, che ancora una volta da prova della sua abilità robotica nel maneggiare questo strumento. L’importanza di questo elemento è chiara in tutto il procedere di Diva, dove le chitarre, nonostante la distorsione sia corposa e acidognola, non sono mai vere protagoniste, ma sembrano sempre assecondare quello che è il cuore di tutta questa musica: il frenetico pulsare delle pelli. La sperimentazione che i Luna Field dicono di voler raggiungere nella loro presentazione, in quella che dovrebbe essere “una nuova dimensione dell’estremo”, in realtà si sente ben poco (a stento nell’inizio di alcuni brani, come “Camouflage” o “The Great Monologue” o nel finale di “Diva Messiah”, la traccia sicuramente più bella). Le parti elettroniche sono davvero poche e gli strumenti più dediti a possibili assoli futuristici (voce, chitarre, basso), sembrano invece seguire timbriche marziali, ma sempre del nostro secolo. La scelta di una così piccola dose di sperimentazione è, a conti fatti, un vero peccato, perchè viste le capacità tecniche del gruppo (che in tutte le parti sono davvero elevate) i risultati potrebbero esser stati eccelsi, e non semplicemente buoni.
In conclusione un disco costruito in maniera difficile e che rivela la padronanza tecnica dei cinque tedeschi. Per questo è consigliato solo a chi è amante di ritmi veloci, ma sempre controllatissimi e potenziati da un suono pulito. Per chi non fosse appassionato di strutture intricate, Diva resta un disco nella media.

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