Recensire un CD a tre anni dalla sua uscita potrebbe essere estremamente sconveniente per chi scrive; potrebbe essere segno di scarsa professionalità o di una mente un po’ sbadata ma…se la qualità del prodotto in questione è ben oltre la media, senza tralasciare un certo effetto sorpresa all’ascolto, allora l’attesa è più che giustificata.
Di Lana Lane e della sua splendida voce ci siamo già occupati anni addietro; qualcuno se la ricorderà per le collaborazioni con gli Ayreon, con i Rocket Scientists del marito Erik Nordlander (presente anche qui) e poco altro. Complessivamente però di questa bella californiana sappiamo pochissimo ed è un vero peccato, perchè “Red Planet Boulevard” è un prodotto che meriterebbe ben altre attenzioni; si tratta di un lavoro fortemente ispirato all’ hard rock epico di bands come Rainbow, Deep Purple e Styx; un suono pomposo e melanconico, forse neanche troppo hard, insomma un disco strano che sfugge alle facili catalogazioni. Anche voler fare nomi ad ogni costo è tutto sommato limititativo.
Sono davvero molteplici le sensazioni che scaturiscono all’ascolto di questo disco; passato infatti il rainbowiano incipit di “Into The Fire”, con il trascorrere dei pezzi la musica si fa più dilatata e i tempi più cadenzati, a favore di una crescente ricerca di arrangiamenti e soluzioni raffinate. Il disco si concretizza per lo più su un hard rock mai invadente, melodico e avvincente come nella splendida cavalcata di “Capture The Sun”, sorretta da una malinconica melodia che si protrae per tutto il brano. Circoscrivere la voce e il progetto Lana Lane ad un ambito prettamente hard & heavy sarebbe riduttivo: la sua voce profonda e variopinta crea scenari interessanti anche in chiave pop rock (vedi la drammatica “No Tears Left”), talvolta persino blues come nella sorniona “Lazy Summer Day”. Altrettanto degna di nota è la prestazione di Erik Nordlander che mette tutta la sua esperienza di tastierista prog al servizio della canzone con arrangiamenti di gran gusto e mai sopra le righe. Azzeccata infine l’idea di sintetizzare i temi di tutte le song nella conclusiva strumentale “Red Planet Boulevard”, una chiusura assolutamente non convenzionale di cui può essere capace solo chi davvero sa il fatto suo. Bravi.

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