Ci sono artisti che mi accompagnano la giornata da quasi 25 anni, che ho seguito sia nei loro periodi d’oro che in quelli più sfortunati. Tra questi c’è indubbiamente l’ex cantante delle zucche più famose del metal, Michael Kiske.
Kiske da quando lasciò il gruppo di Amburgo ha sempre seguito il cuore in quello che faceva, sempre ostinato nel volere a tutti i costi fare musica libera, senza costrizioni, nel voler fare quello che si sentiva in quel momento. Sono note le sue sfuriate contro un modo di fare musica solo per far soldi e senza spontaneità. Questo suo atteggiamento, forse, contro corrente gli ha reso la vita musicale difficile, relegandolo quasi al ruolo unico dell’ex cantante degli Helloween e basta come se non avesse una sua carriera solista degna di nota. Artefice della rinascita musicale di Kiske fu l’attento Perugino della Frontiers Records che credette in lui come artista rock / hard rock con il progetto Place Vendome prima e pubblicando i successivi, ma anche i precedenti, lavori del tedesco.
A distanza di alcuni anni il suo nome è tornato sulla bocca di tutti; questo periodo fertile ha portato alla realizzazione del progetto con la bionda cantanet americana Amanda Somerville.
La Somerville è forse nota ai più come corista in svariati progetti power/symphonic metal tra cui Epica, Kamelot ma forse più che altro per l’ambizioso progetto AINA di Sascha Paeth. In realtà Amanda ha un passato e un presente orientato prevalentemente verso la musica pop rock melodica, basta ascoltare i suoi, validi, album solisti per accorgersi della lontananza dal metal.

Con tutti questi dati iniziali che tipo di album poteva uscire fuori se non un rock molto melodico? E invece sono rimasto estremamente colpito dalla particolarità di questo progetto, i cui brani sono stati scritti prevalentemente dai prolifici Matt Sinner (Sinner, Primal Fear) e Magnus Karlsson (Starbreaker, Primal Fear), due musicisti/compositori veramente versatili.
Kiske / Somerville è un album intenso, emozionale, ottimamente costruito, registrato, e realizzato, senza lasciare nulla al caso. Troviamo intensità e melodia in End Of The Road, One Night Burning e Second Chance, grandissimi pezzi melodici, struggenti quanto basta ma senza scadere nel lagnoso. Ritroviamo l’hard rock ispirato più al progetto Place Vendome, ormai diventato un termine di paragone, in Don’t Walk Away, ma la vera particolarità sono gli eccezionali Nothing Left To Say, If I Had A Wish di chiara matrice power in cui è evidente l’impronta di Matt Sinner tanto da non sfigurare in un ipotetico album dei Primal Fear. Splendido anche Devil In Her Heart, col suo incedere di rock grintoso e un magnifico ritornello magistralmente cantato dai due. Nell’album trova spazio anche una bonus, Set A Fire, forse il brano più variegato dell’intero lotto che riassume in sè tutte le caratteristiche di questo progetto: melodia, dolcezza, grinta, potenza e velocità.
Questo album è senza ombra di dubbio da avere. Assolutamente fantastico.

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