Bene, dopo averli ascoltati nel loro primo demo oggi giunge sulle nostre scrivanie (e nei nostri lettori) il primo album dei Kadavar, band milanese dall’età media spaventosamente bassa (si parla di 18 anni di media circa) ma che ci sbatte in faccia uno schiaffo potente. E quello è solo l’inizio di questo ottimo debutto.
Nessuno si aspetterebbe tanta maturità in un combo così giovane, ma ben venga!
Trentotto minuti di pura violenza musicale, con un death metal che tutto deve ai leggendari Carcass, agli Obituary e ai Morbid Angel, che si espone in maniera forse troppo devota ai suddetti gruppi (e questa è la vera, sola pecca dell’album) ma che si fa apprezzare per la coesione del combo e la preparazione tecnica di tutti i componenti.
Growl indiavolato e profondo, musica assolutamente puntuale e devastante, con un particolare cenno (non ce ne vogliano gli altri, tutti bravissimi) per il drumming, spaventoso a tratti.
Ciò che davvero fa rimanere basiti è la consapevolezza dei ragazzi, che non si limitano a sparare urla disumane e riff velocissimi su doppiacassa, ma sanno anche rallentare il ritmo, facendolo diventare quasi un suono malato, agonizzante, arricchendolo con sottofondi (nulla di più) di keys, per un intreccio di accelerazioni e rallentamenti che rende assolutamente godibile tutto il disco.
“From Flesh To Sorrow” apre alla pura maniera Carcass l’album, e quasi lascia pensare che ci si trovi davanti ad una cover band (con tutto ciò che ne consegue, in positivo e in negativo).
Il livello medio è più che buono in tutto il disco, ma le punte di diamante credo possano trovarsi in “Behind The Storm”, che dopo rallentamenti e nuovi ceffoni, sfoggia anche un mini solo di chitarra a rendere interessante il tutto.
“Global Collapse” invece risulta notevole per il suo ritmo persistente e indiavolato, quasi fosse un mid tempo accelerato, su cui in alcuni frangenti sparisce il growl più oscuro per lasciare spazio o sovrapporsi a un growl più alto e meno demoniaco.
Per gli amanti del brivido della velocità chitarristica e musicale in generale invece c’è “Towards The Abyss”, mentre si esula completamente da tutto quanto proposto in precedenza,il finale: “Mirror of Lies” è un brano solo musicale, con uno sfoggio di ottima tecnica e buon gusto da parte delle guitars di Luca Colucci, che sembra dire “bene, vi abbiamo fatto del male, vi regaliamo anche la marcia funebre”. Si perchè si tratta di tre minuti assolutamente tranquilli, pacifici, godibili e intensi, che non ci si aspetta dopo tanta brutalità.
In fin dei conti, un quattro è meritato dai milanesi, con l’augurio che ora che hanno fatto vedere di cosa sono capaci ricalcando fin troppo fedelmente le orme di papà (i gruppi sopra citati) dal prossimo lavoro in studio si prenda coraggio e si inizi a camminare sullo stesso sentiero, ma non proprio sugli stessi passi dei grani del genere. In bocca al lupo.

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