Se da un lato è innegabile che la stragrande maggioranza di noi conosca i Judas Priest, dall’altra non dico certo una novità o un’assurdità affermando che tale conoscenza si limita spesso al tanto celebrato “Painkiller” e ad una manciata di pochi altri brani. Se a questo aggiungiamo poi l’ostinato e anche stupido tradizionalismo di quelli che vedono ancora in Tim “Ripper” Owens un temporaneo rimpiazzo per Rob Halford, allora è facile capire come un’uscita come quella in questione possa rappresentare un vero e prorio evento solo per noi inesauribili appassionati di vecchia data. “Live in London”, come già il precedente “Live Meltdown ’98”, ha però tutte le carte in regola per risolvere per l’ennesima volta entrambi questi problemi.
La registrazione, relativa ad un concerto tenuto alla Brixton Academy e facente parte del tour di promozione all’ultimo “Demolition”, ci presenta una band compatta, distruttiva, omicida e dirompente. Ian Hill e Scott Travis costituiscono una sezione ritmica tellurica e incontenibile, come pochi altri gruppi oggigiorno possono vantare, la coppia K.K. Downing e Glenn Tipton è ancora in forma smagliante e snocciola per tutte le due ore del disco una sequenza di riff e assoli velenosi e taglienti, e poi c’è lui, Ripper Owens, un cantante a dir poco eccezionale, espressivo e aggressivo al punto giusto (la spettacolare interpretazione nei 10 minuti di “Victim Of Changes” dovrebbe ammutolire ogni suo detrattore) ed in alcuni punti assolutamente indistinguibile dall’illustre immenso predecessore.
Il pubblico è caldo e partecipe, il clima rovente, il suono perfetto. La scaletta? A parer mio riuscita. Ovviamente si pesca un po’ da tutta la discografia della band inglese e sebbene stupisca ancora una volta l’assenza di brani immortali come “Exciter”, “Screaming For Vengeance” o “Sinner” è però divertente, accanto agli altri classici del gruppo, trovare ripescate a sorpresa la bella “Desert Plains”, l’anthemica “United” e la tanto bistrattata “Turbo Lover”.

Cosa ne viene fuori in sostanza, un capolavoro?
No, ritengo il grezzo, coinvolgente ed incandescente “Live Meltdown ’98” complessivamente superiore a questo nuovo live, e le ormai noiose introduzioni ai brani da parte di Owens (“What’s my name?” in quella di “The Ripper”, “Do we have any lawbreakers down there?” in quella di “Breaking The Law” etc etc) danno per giunta al disco una fastidiosa sensazione di già sentito, ma la prestazione di altissimo livello del gruppo ed i molti momenti esaltanti (sarebbe veramente difficile ed inutile citarli tutti) fanno comunque di questo doppio live un must per tutti, sia per chi segue il gruppo da tempo immemore, che non si farà certo scappare un live così ben fatto, sia per chi non conosce ancora i classici della band e vuole approfondire, sia, molto più semplicemente, per chi sa cogliere la bellezza e le incredibili emozioni che solo questa musica riesce a trasmetterci.

Immortali.

Vincenzo Buccafusca

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