Ci sono diversi modi per raccontare una storia: descrittivo, narrativo, commentando gli eventi oppure riportando solo i fatti. Ogni scrittore possiede un proprio stile che può o meno piacere, ma è innegabile che da esso dipende gran parte della riuscita di un libro.

In quest’occasione parliamo di Joel McIver, giornalista di lunga data e biografo non ufficiale di diverse band in ambito metal (sue le biografie dei Metallica, Tool, Motorhead, Cliff Burton e tantissime altre) il cui piglio nel raccontare gli eventi legati alla storia di quella che probabilmente è la prima vera metal band risulta, suo malgrado, poco scorrevole. Naturalmente il gruppo in questione sono i Black Sabbath e l’analisi approfondita della loro carriera dagli esordi fino al 2006 è affidata alla narrazione di tantissimi dettagli ed aneddoti, tratti spesso da interviste raccolte dall’autore stesso nel corso degli anni. Oltre a ciò, parallelamente a quella dei Sabbath, viene seguita anche la carriera solista di Ozzy Osbourne, da sempre legata a quella del gruppo da cui proviene.

Eccessi, cadute, risalite, virtù e vizi di una band che negli anni ha cambiato pelle e forma un numero impressionante di volte attorno alla figura chiave di Tony Iommi, unico membro che vanta una permanenza costante in tutte le innumerevoli lineup del gruppo. Piace il fatto che vengano analizzati per filo e per segno i singoli brani di ogni uscita a nome del gruppo con piglio critico e, talvolta, fin troppo irriverente. Analogamente a ciò, anche i dischi solisti di Ozzy vengono sviscerati a dovere cosa che, a giudizio di chi scrive, avrebbe potuto essere tralasciata in quanto tutto ciò non accade quando si tratta dei lavori a nome degli altri membri del gruppo, i quali possono vantare anch’essi delle uscite a titolo esclusivamente personale.

La dovizia di particolari che merita la storia di una band come quella dei Black Sabbath è giustamente parecchia, ma McIver scade a volte nella celebrazione pura e semplice perdendo di vista lo scopo primario di una biografia: descrivere gli eventi. In sostanza, Black Sabbath (titolo originale: Sabbath Bloody Sabbath) va preso per una narrazione critica dell’epopea di un gruppo di ragazzi di Aston trasformatosi presto in un calderone ribollente di rockstar viziate, ma capace comunque di dare alle stampe album di indubbio valore (i primi 4/5 dell’era Ozzy, Heaven And Hell e Mob Rules dell’era Dio e, non ultimi, Tyr ed Headless Cross dell’era Martin). A rappresentare il percorso formativo del Sabba Nero, inoltre, c’è anche una discreta galleria fotografica incastonata nelle pagine centrali del volume, la quale fa da contorno alla storia narrata a parole.

Concludendo il discorso, quello di McIver è un lavoro certosino e degno di nota, ma che certe volte rischia di sfuggire di mano all’autore che impreziosisce con troppi giudizi personali il racconto. Ribadiamo: lo stile di scrittura è qualcosa che non si sceglie, ma che si possiede e basta. Una biografia completa ed esauriente, ma che può anche risultare ostica da mandare giù, almeno in taluni momenti.

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