E questa volta tocca al figlio di Ritchie Blackmore, Jurgen Blackmore, dimostrare la sua bravura con la chitarra e tenere alto il nome, anzi il cognome, che da sempre è associato a musica di grandissima qualità.

“Between darkness and light” è il secondo disco strumentale di Jurgen Blackmore il quale, accompagnato dal fido tastierista e amico Malte Rathke (già presente nel debutto “Still holding on”) ci regala un prodotto appetibile, che farà la gioia di tutti quelli che amano le sonorità create da papà Blackmore unite a momenti tipicamente neoclassici che molto devono a Malmsteen. Questo terzo disco di Jurgen è un lavoro sincero dove il giovane, mica tanto, rampollo Blackmore ci delizia con squisiti soli di chitarra, ottimamente ragionati e strutturati che lo vedono protagonista non di mere esibizioni di puro tecnicismo, come molti guitar heroes preferiscono fare, bensì di melodie a volte lente, a volte più pimpanti, capaci di regalare incredibili emozioni e di farsi ascoltare più e più volte grazie proprio alla semplicità con cui sono state concepite. Sebbene sia praticamente impossibile paragonare lo stile di Jurgen con quello di altri maestri della chitarra, vedi Malmsteen oppure Satriani, “Between darkness and light”, scorre via in maniera del tutto piacevole: il giovane Blackmore fa cantare la sua chitarra, riuscendo a suonare melodie “vive” e intriganti tanto che alla fine dell’ascolto ci si ritrova ad ascoltare dall’inizio l’intero album. Sin dall’oscura opener “Between darkness and light (part 1)” siamo trascinati senza freno nel magico mondo creato da Jurgen: durante l’ascolto dell’album sarete rapiti dalle semplici quanto efficaci melodie di “Time travelling”, che molto ricordano Malmsteen, soprattutto per il lavoro svolto alle tastiere da Rahtke e per alcuni passaggi neoclassicheggianti di chitarra, oppure ancora da una “Nine lives” che esplode in tutta la sua bellezza con soli accattivanti e che si piazzano subito in testa. Da brivido sono le successive “Recall the past”, brano lento e per la maggior parte acustico dove anche qui è la classe di Jurgen a farla di padrone con soli che spaziano da momenti più “metallici” e cattivi a parti più d’atmosfera, oppure le successiva “Invisibile touch” seguita da una sparatissima “Tears of the dragons” che si rivelano come i migliori episodi di questa nuova release.

Una discreta uscita dunque, sicuramente riservata a tutti gli amanti dei guitar heroes e della musica strumentale. Jurgen, lo ripeto, non è assolutamente un mostro di bravura, tuttavia riesce a catture l’attenzione proprio grazie alla sua capacità nel creare ritmiche, solos e melodie capaci di affascinare e colpire diritte nel segno. Buon sangue non mente, certo Jurgen non riesce a raggiungere il livello qualitativo del padre, ma poco ci manca.

A proposito dell'autore

Post correlati