Era il 1980 quando gli Iron Maiden pubblicarono il loro primo e ufficiale disco. Dopo anni di gavetta, registrazioni scadenti su cassette e continui concerti in giro per tutta l’Inghilterra viaggiando e suonando di notte per poi tornare, la mattina dopo, al lavoro di tutto i giorni, Harris e soci danno vita a questo favoloso e incredibile album dalla produzione marcia e sporca ma posseduto da una carica incredibile che conquisterà subito tutti quanti iniziando a delineare quella che sarà la futura vita del combo londinese.

Le influenze che si respirano all’interno di “Iron Maiden” sono più punk che metal, genere, il punk, che spopolava tantissimo all’interno della Londra anni ottanta. Persino Eddie, in copertina, è una figura scarnificata con una cresta che ha poco da invidiare a quella di un punk; la stessa presenza di un cantante come Paul Di’Anno, a detta di molti il miglior singer della band, rendeva il sound degli Iron Maiden personale e diverso da quanto mai prodotto fin’ora dalle altre band dedite a questo genere. Le canzoni, alcune già scritte da parecchi anni e facenti parte dell’ormai mitico “The soundhouse tapes” sono aggressive e veloci, la coppia Stratton/Murray macina riff e solos al fulmicotone regalandoci forse alcuni dei più bei passaggi della storia del metal. “Prowler” è il brano che porta alla ribalta gli Iron Maiden grazie ad un sound grezzo ed istintivo, “Sanctuary” è forse uno dei brani più semplici, due soli accordi, mai scritto dalla band eppure così dannatamente trascinante ed esplosivo tanto che ancora oggi riesce a regalare incredibili emozioni quando è riproposto dal vivo; la storica title track diventa una pietra miliare del genere e un classico della band, mentre si tira il fiato con “Remember tomorrow” pezzo intimista ma coinvolgente come non mai grazie ad un Di’Anno autore di una prova vocale strepitosa e a “Strange world” altra ballad melodica e dotata di un solo di Murray dannatamente curato e ben riuscito tanto che ancora oggi mi ritrovo più e più volte a riascoltarlo senza mai stufarmi. Arrivano “Running Free” con il suo incedere marziale e festaiolo, ci si scatena con i “tecnicismi” delle lunga e complessa “Phantom of the opera”, uno dei migliori brani dell’album e si conclude con la strumentale “Transylvania” e la bellissima “Charlotte the harlot” prima di una lunga serie di brani dedicati ad una figura femminile che il mito non saprà mai dirci se frutto dell’immaginazione oppure vera realtà.

Insomma, un album completo che a distanza di quasi trent’anni riesce ancora ad elevarsi a caposaldo di un genere. “Iron Maiden”, a detta di molti è senza dubbio il migliore della band. Io non lo credo, tuttavia resta il fatto che le canzoni presenti al suo interno riescono ad emozionare e a dare una grinta come solo pochi album riescono a fare al giorno d’oggi. La storia ha inizio.
UP THE IRONS!

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