Anno Domini 1987. Esce il nuovo album delle zucche tedesche Helloween. Il nuovo progetto dei cinque di Amburgo è estremamente ambizioso, pubblicare un doppio album con una quindicina di canzoni (consideriamo il periodo in cui si pubblica in LP con circa otto canzoni al massimo registrabili, ciò vuol dire pubblicare il doppio di canzoni fisicamente registrabili).
Kai Hansen non riuscendo a gestire il doppio ruolo di cantante e chitarrista lascia il microfono al neo acquisto, un
appena diciotenne, dall’ugola promettente, proveniente da un gruppetto con all’attivo un solo demo. Il suo nome è Michael
Kiske che rimarrà nella storia come uno dei cantanti power più influenti di sempre.

L’etichetta, la storica Noise Records, non scommette troppo sul progetto preferendo pubblicare il lavoro in due parti; il resto è storia. Keeper Of The Seven Keys part I viene pubblicato.
Lo scossone è tale da far sì che il gruppo si ritrovi catapultato nell’Olimpo dei grandi suonando in numerosi concerti sparsi per tutto il globo partecipando a importantissimi festival, in seguito alle vendite stellari del nuovo lavoro.
La maggior parte dei brani è scritta da Kai Hansen, che rimane ad oggi il vero e incontrastato padre fondatore di un tipo di heavy metal con la doppia cassa sempre presente, veloci riff e un cantato acuto che è riconosciuto come power metal (europeo).
I brani, intro a parte, sono diretti, veloci, potenti e trasmettono subito all’ascoltatore un forte salto di qualità a livello compositivo, l’ottimo lavoro svolto in studio e il cantato di Kiske conferisce al tutto la completezza a livello sonoro che mancava nei precedenti due, l’omonimo EP e il primo full lenght Walls Of Jericho, estremamente acerbo e sporco ma dal sicuro impatto sonoro.

L’alchimichia all’interno del gruppo e dei pezzi funziona a dovere. Tutto il processo di scrittura dei brani è stato ragionato, limato, il suono reso pulito, meno thrashy e un pelino più popeggiante per certi versi nelle melodie, quanto mai orecchiabili ma senza mai perdere di vista l’impatto sonoro e dinamico.
In quest’album si trovano alcune delle canzoni più famose e copiate nella storia del power metal, in particolare Future World. Il vero e proprio pezzo principe è a mio avviso la lunghissima e articolatissima Halloween, uno dei primi a durare quasi un quarto d’ora in cui i cinque dimostrano tuttta la loro arte, dimostrando quanto si possa giocare con i passaggi alternando melodia, grinta, potenza, calma in un solo brano.

C’è da dire che i poco più che ventenni di Amburgo non hanno inventato nulla dall’oggi al domani, ma hanno avuto il pregio di canonizzare un tipo di musica appropriandosi di quella fino a quel momento presente, e rendendola talmente persoanle dal renderla quasi unica. Ma il bello deve ancora arrivare…

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