“Opus Dementiae” è un disco che va oltre le fastidiose e inutili catalogazioni. Gli Ensoph vanno ben oltre il metal e danno giustizia al tanto abusato termine “estremismo musicale”, cerchiamo di chiarire un po’ le cose con Zenone, batterista della band!

Allora ragazzi, innanzitutto vi chiedo di presentarvi!
Gli Ensoph nascono nel ’97 e provengono dalla provincia di Padova e Venezia. Abbiamo all’attivo due registrazioni promozionali, un MCD (“Les confessions du Mat” 1998-No-brain/Orofarne), un full lenght CD (“Bleeding womb Of Ananke” 2002 – Beyond..prod/Irond) e il nuovo CD “Opus Dementiae – Per speculum et in Aenigmate” su Cruz del Sur Music.
La line-up, che negli anni ha subito un certo numero di cambiamenti, è composta attualmente da Nicholas (voce), Giuliano (chitarra e programmazione), Zenone (batteria), Leonardo (tastiere), Massimo (basso), Anna (flauto).

Ascoltando “Opus Dementiae” e spulciando fra le varie pagine del vostro sito web ho notato che la vostra musica è molto legata a testi ed immagini. Cosa c’è dietro “Opus Dementiae” e soprattutto dietro gli Ensoph?
Gli Ensoph sono nati come espressione artistica del genuino interesse filosofico/esoterico che da sempre è il trade-mark della nostra proposta. Posso riassumere l’idea di base dell’intero progetto come il tentativo di approcciare il tema del nulla attraverso vari itinerari simbolici appartenenti al patrimonio della tradizione, senza tuttavia aderire a nessuna ortodossia, ma anzi forzando il concetto stesso di fede e adesione grazie alla libertà che lo stesso nulla dilagante rende disponibile nell’età della fine delle verità forti.
Una ricerca, dunque, essenzialmente estetica, come riflesso di un itinerario di pensiero che fin dagli inizi è condiviso da una parte del gruppo (quella che si occupa dell’aspetta più propriamente concettuale). “Opus Dementiae” è attualmente il tassello più maturo dell’intero mosaico, e come tale, è anch’esso una parte di tale ricerca.

La vostra musica abbraccia molti generi, dal black all’industrial, dal gothic all’ebm… come definiresti la vostra musica?
Gloomy Avant-gardism for a De-Generation Wasted. Come dire: non è importante quello che suoni, ma cosa intendi fare e a chi ti riferisci.

Vuoi parlarci un po’ del concept che sta alla base di “Opus Dementiae”?
Siamo figli di duemila anni di tradizione cristiana, e la nostra civiltà si regge e si è costituita su di un edificio di attese messianiche e speranze di redenzione. Tuttavia, a partire dalla delusione più ovvia, quella del mancato ritorno di Cristo, la verità scritturale è divenuta gingillo dell’interpretazione allegorica, ultimo tentativo di salvare l’evidenza della smentita delle più evidenti promesse divine con un criterio di lettura che potesse in qualche modo coniugare evidenza dei fatti e verità della rivelazione.
Tuttavia questo tentativo ha inaugurato una nuova epoca fatta di potere, libertà e assenza di fondamento, che il moderno uomo tragico esperisce in tutta la sua ambiguità e duplicità. Ecco che la verità diviene consapevole finzione, la divinità si converte nell’umanità, e la salvezza nella più bieca disperazione…

Come è nata la collaborazione con Bruno Kramm dei Das ich?
Da tempo desideravamo che qualcuno rileggesse la nostra musica in chiave diversa. Il primo nome che ci è venuto in mente è stato niente meno che il maggior compositore tedesco di elettronica oscura, Bruno Kramm. Ovviamente non avevamo molte speranze che accettasse la collaborazione, ma la cosa è andata in porto e Bruno si è rivelato un buon amico.
Il suo remix, così easy-listening e distante dal tono cupo delle nostre composizioni, oltre che essere una boccata d’aria fresca nei 45 minuti del disco, ci ha anche aperto le porte a una notevole quantità di compilation internazionali di tutto rispetto, che tra l’altro hanno avuto il merito di far conoscere il gruppo a chi probabilmente non si sarebbe avvicinato a noi in altro modo.

In che modo componete un brano? Seguite processi particolari?
In genere il tutto nasce da un riff di Giuliano o da una base elettronica che egli ci propone; poi si passa allo studiare una struttura che possa essere convincente, e infine agli arrangiamenti e alle liriche.
Come puoi vedere il tutto è abbastanza standard: l’utilizzare qualche strumento o supporto elettronico in più di fatto, sotto il profilo compositivo, non comporta grosse difficoltà.

Come giudicate l’attuale scena italiana? Vi sentite appartenenti ad essa?
Non so mai bene come rispondere a questa domanda… Se mi chiedi se ci sentiamo parte di una qualche identità musicale specifica (italiana, veneta, ecc..) ti rispondo senz’altro di no. Detesto campanilismi, nazionalismie tutti i sistemi di aggregazione che suppliscono a carenze individuali.
Tuttavia apparteniamo alla scena italiana in senso eminentemente geografico, e da questo punto di vista dipendiamo dalle strutture su cui tale scena si regge, e come tale nessun gruppo italiano può dire di non farne parte.
Dal punto di vista umano posso dirti che noi abbiamo degli ottimi amici nell’ambiente musicale italiano (Handful of Hate, Novembre, Theatres Des Vampires, Delirium X-Tremens, Lifend, e altri ancora), con cui abbiamo diviso o divideremo ancora in futuro il palco.

Quale cammino seguiranno in futuro gli Ensoph?
Ovviamente quello meno ovvio e scontato… Abbiamo in serbo delle grandi sorprese in ambito sperimentale, ma dovrete attendere fino ai primi mesi dell’anno prossimo.

Suonate una musica molto ricca di sfumature e suoni, come riuscite a trasportarla in sede live?
La faccenda non è poi così complicata se sai suonare a metronomo… Ci avvaliamo di sequencer e basi per la parte elettronica, mentre per il resto suoniamo tutto come su disco.

Cosa ne pensate di internet come mezzo di diffusione della musica?
Credo che internet porterà a saturazione l’offerta, con il risultato che tutto sprofonderà nell’insignificanza e nell’assenza di valore. E’ uno dei tanti aspetti dell’usura a cui ogni cosa è sottoposta dalla tecnica nella nostra età: l’arte morirà a causa dell’illimitata possibilità di riproduzione seriale. Quando inizieremo a clonare esseri umani faremo anche noi la stessa fine.

I vostri cinque dischi preferiti?
Sono troppi i titoli che ci hanno influenzato nel corso degli anni per citarne soltanto cinque. Spiacente, impossibile rispondere alla domanda.

Grazie della disponibilità, potete concludere dicendo qualsiasi cosa!
Cristo non parlava aramaico… Benvenuti nell’età dei simulacri!

A proposito dell'autore

Post correlati