Sgombriamo subito il campo da ogni possibile dubbio: “Everything Remains” è il miglior album degli Eluveitie. Quello partorito dalla band svizzera è infatti un lavoro ispirato ed entusiasmante, ben confezionato e suonato alla grande. Potrebbe rappresentare per Chrigel e soci quello che “Design Your Universe” ha rappresentato per gli Epica lo scorso anno, ovvero il disco della definitiva consacrazione davanti a quella parte di pubblico più scettica. Certo, le critiche solitamente mosse alla band restano legittime e fondate: sound visibilmente debitore verso il death svedese, strumenti acustici spesso di contorno, tutto vero. Ma è altrettanto vero che con questi elementi la band riesce stavolta a giocare alla grande, mostrandosi tanto abile nel creare melodie ad effetto quanto nel puntare quando occorre sull’ecletticità delle soluzioni strumentali.
Dimenticate la barbarie primordiale di “Spirit” e le dolci atmosfere di “Evocation I”, “Everything Remains” riprende il discorso iniziato con il celeberrimo “Slania”. La formula è pressochè la stessa, se non che stavolta sembra davvero esserci qualcosa in più sul piatto. Sarà il parziale ricambio di line up, sarà la longa manu della Nuclear Blast che sa come e quando pubblicare un certo tipo di prodotto, fatto sta che “Everything Remains” ci mostra una band perfettamente consapevole delle proprie capacità compositive. Tutto nel loro sound è in perfetto equilibrio: la potenza, le vocals, la tecnica, la componente folk, la ricerca delle melodie, un songrwriting variegato e “furbo” ma mai smodatamente ruffiano. Non stupitevi quindi se pezzi come “Dominion” o la title track potrebbero sembrarvi usciti da un “Projector” o un “Haven” qualsiasi; vi sono anche autentici gioiellini strumentali come “Setlon” o “Isara” che lambiscono i territori dell’irish folk tradizionale. Death e folk, potenza e melodia, due anime che si incastrano splendidamente in “Kingdom Come Undone” e “Quoth The Raven”, senza che una parte prenda il sopravvento sull’altra.
Tuttavia è nel groove variegato e incalzante dei primi cinque brani che si racchiude la vera essenza del disco; come nel caso di “Nil” o dell’anthemica “The Essence Of Ashes”, brani impreziositi da una splendida sequenza di stacchi, ripartenze e drumming forsennati. Sembra quasi che la band voglia ricordarci di essere ancora e sopratutto una band metal nonostante le contaminazioni.
“Thousandfold” svolge egregiamente il compito di brano apripista col suo midtempo spedito e quadrato. Solo in un’occasione la band finisce per tradirsi, quando cerca a tutti i costi la soluzione ad effetto su un pezzo come “Lugdunon”, ma a conti fatti è solo un piccolo neo. Non c’è in tutte le tracce del disco, una sola nota fuori posto. “Everything Remains” cattura la band nel suo momento migliore ed entra di diritto fra i miei dischi preferiti del 2010. A differenza di tante altre compagini folk metal per lo più ancorate all’imprescindibile connubio “birra e folklore”, qui siamo davanti ad una band fra le più concrete ed originali della scena. Il loro folk metal è una armoniosa fusione di due generi che da sempre dimostrano sottili affinità. E dal vivo, come sempre, ci sarà da divertirsi.

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