Il termine leggenda è spesso fuori luogo nel mondo della musica, ma non se si parla di Ronnie James Dio, “la voce dell’heavy metal”. La stessa cosa invece non sempre si può dire della sua musica, come in questo caso, purtroppo.

A scanso di equivoci dico subito che “Killing The Dragon” non è affatto un brutto album, e nel suo complesso nemmeno piatto e noioso, è la struttura dei singoli brani ad essere decisamente poco originale, tant’è vero che più volte durante l’ascolto vi sforzerete di ricordare a quale altro brano somiglia quello in esecuzione (ad esempio, per quello che mi riguarda, un pezzo dell’assolo di “Scream” ricorda sfacciatamente quello di “One Night In The City”, il testo della prima strofa di “Better In The Dark” potrebbe essere sostituito con quello di “I Speed At Night” per quanto le due si somigliano, e così via). Il limite maggiore di Dio è forse proprio questo, quello di non essere riuscito a modernizzare il suo songwriting rimanendo ancorato a quella formula che lo portò, ben quindici anni fa, a regalarci quei due capolavori che vanno sotto il nome di “Holy Diver” e “The Last In Line”. Ma se questo per voi non rappresenta un limite o una pecca eccessiva allora sono sicuro che gradirete notevolmente questo album, sicuramente più di me.

Rispetto al precedente “Magica” in questo nuovo lavoro tornano a primeggiare i brani più sostenuti, Ronnie in certi frangenti sembra essere riuscito a fermare il tempo regalandoci alcune interpretazioni davvero all’altezza del suo illustre passato (“Push” e “Throw Away The Children ” su tutte) e si può riscontrare un suono decisamente più aggressivo, merito forse anche del nuovo chitarrista (già facente parte di House Of Lords, Hurricane e Lion) ma tutto questo non può risollevare più di tanto un disco che si fa ascoltare tranquillamente e, tutto sommato, piacevolmente, ma che non lascia assolutamente nessun segno particolare: magari lo si ascolterà anche parecchie volte ma se un giorno, tra qualche anno, qualcuno ci chiederà cosa prendere della carriera solista di sua maestà i nomi degli album che ricorderemo e suggeriremo saranno sempre gli stessi, è questo il punto.

I brani sono tutti più o meno dello stesso livello, ovvero non ci sono riempitivi oggettivi. Su tutti svetta “Throw Away The Children”, vera gemma del disco, un brano che doveva originariamente uscire come singolo per la raccolta di fondi per un’associazione (The Children Of The Night) alla quale Dio è molto legato e che si occupa di salvare dalla strada, dalla droga e dalla prostituzione i bambini abbandonati. Un brano cadenzato, epico, con un grande ritornello arricchito dal coro dei bambini della King’s Harbor Church ed un testo malinconico e triste che nessun’altra voce del nostro genere musicale preferito avrebbe potuto rendere più commovente e toccante.

Un disco dunque solo per i cosidetti die-hard fans? No, però un disco da ascoltare e giudicare attentamente prima dell’acquisto, che potrebbe piacervi oltre misura o annoiarvi dopo pochi ascolti e farvi rimpiangere di non avere destinato i vostri risparmi ad altre uscite.

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