Cominciavo a preoccuparmi. Troppe buone uscite in questi primi sei mesi del 2009, troppa grazia davvero. Sembrava un lungo percorso verso la perfezione assoluta, un vero e proprio anno convincente, incredibilmente senza delusioni inaspettate. Ma si sa, la perfezione non è di questo mondo. Ecco che infatti, e vorrei dire quasi per fortuna (altrimenti la mia playlist di fine anno dovrà essere chilometrica!), arriva prontamente la prima, grossa delusione dell’anno, tanto cocente quanto inaspettata. Visto soprattutto il fatto che arriva da una band che ho sempre amato, della quale ho visto muovere i primi passi, all’insegna di un extreme metal robusto e particolare, che ha avuto il suo massimo apice nel secondo full-length dei precedenti tre pubblicati, ovvero il bellissimo “The Fury Of Our Maker’s Hand”. Mi sto riferendo ovviamente ai Devildriver, formazione messa in piedi dall’ottimo singer Dez Fafara, già mente dei nu metallers Coal Chamber, che ha abbandonato le sue vecchie sonorità moderne in favore di qualcosa che, pur sempre al passo coi tempi, si rifà moltissimo agli stilemi del metal estremo degli anni passati.
Reclutati quattro baldi giovani musicalmente preparatissimi e volenterosi, il nuovo gruppo ha cominciato a fare sfaceli in giro per il globo, complici tre album al fulmicotone e mamma Roadrunner che ha sempre dato loro il massimo supporto possibile.
Una storia stupenda, destinata a durare sembrava, ma le credenze molte volte sono fatte per essere messe a dura prova. Ecco che quindi, dopo il già citato secondo disco, ne è arrivato un terzo un po’ inferiore, ovvero “The Last Kind Words”, sempre di molto sopra la media standard del resto della scena musicale, ma che non raggiungeva le vette del predecessore. Ed ora il definitivo avvento del classico momento di pochezza di idee, con un nuovo prodotto intitolato “Pray For Villains” che delude in modo a dir poco clamoroso, non raggiungendo nemmeno la sufficienza.
Chi come me ha apprezzato i vecchi brani che dalla loro avevano un tiro micidiale che le faceva risultare letali anche in sede live, stenterà davvero a riconoscere la band ascoltando le nuove tracks. Qui manca tutto, ma proprio tutto. Per prima cosa la personalità e l’imprevedibilità. Cioè quelle due cosettine che ti lasciavano tutto il giorno con in testa i motivetti principali o i ritornelli delle loro canzoni, riconoscibilissime e diverse fra loro, anche se compatte e quadrate. Tutto ciò però adesso sembra essersi perso in una nuvola di fumo. Sono spariti del tutto i bellissimi riff e le azzeccatissime melodie di chitarra che facevano grande il combo americano. Resta solo un metal estremo, aggiornato ai “nuovi” canoni moderni imposti dal marketing, senza un minimo di senso logico, lasciando intendere quasi che i nostri non sapessero poi così bene cosa stessero componendo, quasi avessero come il timore di sbagliare e avessero perso il talento che li aveva portati in passato ad essere grandi.
Oltre a tutto ciò c’è da aggiungere la conseguente prova al microfono del vecchio Dez, che dalla sua parte aveva un timbro inconfondibile ed inimitabile, fatto di growlings e screamings ai limiti dell’umano, tra l’altro pregni di cattiveria quasi “agonistica” per come erano eseguiti, specialmente in sede live. Invece in questo caso anche lui si adegua alla scialba prestazione dei suoi bandmates, con il triste risultato di sembrare quasi irriconoscibile.
Dispiace, dispiace molto, ma capirete che quando di un disco si possono salvare solo la produzione, sempre ottima e all’avanguardia, e la bellissima copertina non ci siamo proprio. Il mix di metal estremo dei Devildriver non è più lo stesso. La loro letale unione di thrash death e black che faceva accapponare la pelle qui appare più docile di un agnellino.
Ragazzi, vi prego, risvegliatevi da questo strano torpore, perchè abbiamo bisogno di voi. Mi auguro tantissimo che sia solo un piccolo calo verso una strada che deve assolutamente ritornare in discesa.

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