Siamo in Svezia, 1993, è il tempo in cui gli At The Gates registrano “With Fear I Kiss The Burning Darkness” e gli In Flames danno alla luce “Lunar Strain”, è il tempo in cui nasce ciò che andrà sotto il nome di ‘Swedish Death’. Sotto diverse forme nella zona di Gothenburg si propone un nuovo modo di suonare death metal, talvolta ammorbidito da linee melodiche più o meno marcate. Quelle stesse linee che hanno portato vari detrattori del genere ad accollargli la scomoda etichetta di figlio bastardo del vero death e a snobbare la genesi di ciò che di lì a poco sarebbe entrato di diritto nella storia del metal.
Fondamentale nella fondazione e nella crescita del death melodico, e ancora oggi punto fermo del genere, è sicuramente “Skydancer”; un album che un pò per il titolo, un pò per l’artwork, un pò per numerosi richiami al folk nordico è, per il sottoscritto e non solo, il perfetto manifesto del death svedese.

Agli inizi degli anni novanta, com’è ovvio che sia, i Dark Tranquillity erano ben diversi da quelli di oggi ed è facile accorgersene sin dal primo secondo con “Nightfall By The Shore Of Time”. Quella che travolge l’ascoltatore appena premuto il tasto play non è, infatti, la voce bassa e potente di Mikael Stanne (allora alla chitarra) ma quella isterica e acida di un Anders Fridèn poco più che ragazzino. L’elettronica ed i momenti atmosferici affidati oggi alle tastiere di Martin Brandstrom sono un’utopia … a farla da padrone sono i riff freddi e taglienti come lame di ghiaccio della coppia Stanne/Sundin. La melodia, onnipresente, non è mai fuori luogo o scontata, preservando in ogni momento l’impatto e la durezza dei suoni. Segue “Crimson Winds”, intro lenta e malinconica più volte richiamata nell’arco del brano dà all’ascoltatore l’illusione di poter dimenticare la velocità dell’opener, che esponenzialmente ricompare per poi esplodere nel vertiginoso chorus. “A Bolt Of Blazing Gold” è una ballad lenta e introspettiva (ai limiti del gothic) in cui le delicate vocals di Anna-Kaisa Avehall s’intrecciano con quelle dure di Fridèn anticipando alcuni dei suoni che andranno poi a comporre “Projector”. Sulla stessa linea “Through Ebony Archways” in cui a fare le veci del primo singer arriva la voce pulita e profonda di Mikael Stanne che ricompare nello stesso ruolo e in compagnia della coppia Friden/Lindgren anche in “Shadow Duet”, probabilmente il miglior pezzo mai scritto dai DT … ogni descrizione delle veloci melodie, dei potenti e magnifici riff, del continuo incrociarsi delle diverse voci sarebbe poco esaustiva e limitativa per la track in questione. “My Faeryland Forgotten” e “Alone” sono soltanto altri due ottimi brani che conducono l’ascoltatore verso l’uscita di un disco a dir poco grandioso.

In una discografia ricca sia in quantità che in qualità come quella dei Dark Tranquillity, “Skydancer” non teme paragoni neanche con l’ultracelebrato “The Gallery” rispetto al quale vanta una naturalezza ed una varietà di soluzioni senz’altro maggiori; qualità che lo hanno reso e lo renderanno per sempre un must per tutti gli amanti del genere. Da avere!

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