Autori di un album a dir poco stupendo quale “Year Of The Black Rainbow”, i Coheed And Cambria sono passati in Italia per una fugace singola data in quel di Torino, purtroppo poco affollata. In questa succosa occasione ci è stata data la possibilità di fare qualche domanda a Chris Pennie, batterista della band ed ex membro dei The Dillinger Escape Plan, il quale ha risposto sempre con gentilezza e disponibilità a questioni sulla sua band attuale ed a qualche piccola curiosità sul suo vecchio gruppo, non risparmiando di togliersi in merito anche qualche sassolino dalle scarpe. Il risultato è stato un botta e risposta sereno e tranquillo, contraddistinto da una dose di umiltà che solo i grandi musicisti possono permettersi di avere.

Ciao Chris, partiamo subito con una domanda a bruciapelo: come descriveresti la musica dei Coheed And Cambria?
Ciao Andrea. Beh, diciamo che la mia definizione è che siamo semplicemente una rock ‘n’ roll band, anche se a molti piace catalogarci in mille modi differenti: emo con influenze progressive rock, metal psichedelico, alternative rock. Personalmente credo di far parte di una rock band e nient’altro, magari con qualche influenza elettronica, ma non molto di più.

Ho letto molte recensioni riguardanti i vostri album ed ognuno vi collega a band differenti…
Guarda, è divertente perché sembra quasi un gioco a chi trova il gruppo più sconosciuto a cui accostarci, eheh! In ogni caso credo che la nostra sia una musica estremamente personale e che a chi ci ascolta non interessi più di tanto sentire che siamo simili a questa o quell’altra band, ma piuttosto ascoltare musica che gli piace. Non sono un fan delle definizioni, dei compartimenti stagni, non credo in questo genere di cose e per me ognuno può chiamare la mia musica come gli pare, ma se devo scegliere mi piacerebbe sentir dire che suono in una rock band.

Quali sono le tue maggiori influenze come musicista e compositore?
Come ti ho già detto prima, non mi piace definire la musica, quindi ti dirò nomi di band, piuttosto che di generi musicali. Innanzitutto Led Zeppelin, Rolling Stones, Beatles per quanto riguarda il rock anni ’60 e ’70, ma anche tanto jazz, tipo John Coltrane, e compositori classici come Igor Stravinskij e Pyotr Tchaikovsky. Non tralascio, però, anche band degli anni ’90 e contemporanee come Metallica, Nirvana, Smashing Pumpkins. In generale mi piace scoprire nuova musica, indipendentemente dal genere in cui essa viene catalogata.

Ora parlerei un po’ del nuovo disco: “Year Of The Black Rainbow” è il vostro quinto album in studio. È difficile per voi scrivere nuove canzoni? Come si svolge in generale la fase di songwriting?
Non è stato affatto complicato scrivere i brani del disco, anche se va detto che era la prima volta che scrivevo e registravo qualcosa con gli altri ragazzi del gruppo (Chris ha fatto il suo ingresso nel gruppo nel 2007, quando le registrazione del predecessore di “Year Of The Black Rainbow” erano già concluse, nda). Le idee solitamente arrivano da Claudio, il quale ce le comunica via e-mail e poi facciamo qualche prova in sala oppure testiamo il tutto direttamente in tour, rafforzando il senso di band che ci portiamo dietro.

Che cosa mi puoi dire a proposito del Dvd che avete incluso nella versione limitata del disco? Come avete scelto quale fosse il materiale da includere e quello da scartare?
C’erano due ragazzi che ci seguivano con le telecamere all’interno dello studio di registrazione per documentare le fasi di creazione del disco e per fare qualche intervista durante la lavorazione. Tutto il girato ci è stato poi consegnato ed abbiamo operato una scelta logica sulle parti che meglio potessero far comprendere come si è svolto l’intero processo e per far anche avere una sorta di accesso al nostro modo di lavorare.

Il concept della band ruota interamente intorno ad una graphic novel scritta e ideata da Claudio (il titolo dell’opera è “The Armory Wars” ed ogni disco dei Coheed And Cambria ne rappresenta un capitolo, nda). Anche questo nuovo disco segue questo argomento?
Si, si tratta dell’ultimo della discografia che sarà basato sulla graphic novel. È un prequel di tutto ciò che è successo negli altri quattro album precedenti, una sorta di introduzione al mondo di Coheed e Cambria, i due personaggi principali, e che ne racconta le origini.

E qual è la storia di questo vostro concept?
È una storia piuttosto lunga, non voglio raccontarla perché correrei il rischio di annoiare, oltre a quello del piacere di leggere l’intera opera di Claudio. Ci sono questi due personaggi, Coheed e Cambria, e tutto il concept è basato sugli eventi che capitano loro nel susseguirsi del tempo, da quando erano bambini fino alla conclusione avvenuta nel nostro disco precedente, “Good Apollo, I’m Burning Star IV Vol. II: No World For Tomorrow”.

Quale reazione sta suscitando il disco nelle persone che lo ascoltano?
Generalmente direi positiva. “Year Of The Black Rainbow” non è un lavoro immediato, va metabolizzato ed ascoltato parecchie volte prima di poterlo comprendere appieno e sono felice di sapere che i nostri fan siano disposti a questo tipo di sacrificio, vuol dire che apprezzano il nostro operato. Trovo che al giorno d’oggi ci sia troppa musica “facile” e, di conseguenza, si sia persa la pazienza nell’ascoltare i dischi e nel cercare di capirli fino in fondo. Comprendo, ripeto, che non sia affatto semplice entrare nella mentalità dei dischi dei Coheed And Cambria e per questo apprezzo ancora di più le persone che spendono le proprie energie per farlo quando potrebbero tranquillamente prendere un album di qualunque altra band con canzoncine di 4 minuti l’una ed ascoltare quelle senza il minimo sforzo.

Ora un paio di domande su di te: fino al 2007 eri il batterista dei The Dillinger Escape Plan. Che cosa ti ha portato a lasciare il gruppo?
Cercherò di essere breve perché è una storia piuttosto lunga, eheh! C’erano in gioco fattori personali che non mi permettevano di restare all’interno della band ed il clima si era fatto troppo pesante per poter continuare in quel modo. La molla che ha fatto scattare in me la decisione è arrivata in occasione di uno show che i Dillinger Escape Plan tennero proprio con i Coheed And Cambria. Poco dopo questo concerto venni a conoscenza del fatto che il batterista dei Coheed aveva lasciato il gruppo per motivi personali e, in un incontro che facemmo con i Dillinger parlai della possibilità di andarlo a sostituire, viste anche alcune situazioni legali poco chiare e che non mi piacevano un granché. Dopo questo meeting iniziai a suonare con Claudio ed i ragazzi e scoccò una scintilla emotiva importantissima, tale da non potermi permettere di tornare a suonare a regime anche con i The Dillinger Escape Plan. Sai, in quella band è Ben (Weinman, chitarrista e fondatore del gruppo, nda) che decide praticamente qualunque cosa, da quando andare in tour a quando trovarsi per scrivere nuovo materiale. Era quindi diventato quasi un lavoro e sinceramente una situazione del genere mi pesava non poco, venire considerato come semplice musicista e non come figura pensante mi dava fastidio. Così, sistemate un po’ di questioni puramente burocratiche, sono entrato a far parte dei Coheed And Cambria e ti posso garantire che è stata la migliore scelta che abbia mai fatto.

E cosa pensi di aver portato in più nel sound della band con il tuo stile?
Credo che il mio approccio sia differente da quello di Josh (Eppard, suo predecessore nel ruolo di batterista, nda), ma non saprei spiegarti molto bene come. Quello che so è che lavoro sodo per integrare al meglio il mio modo di suonare con il sound che i Coheed And Cambria si sono costruiti negli anni, e per farlo non c’è modo migliore che imparare i brani che erano stati registrati e composti prima del mio arrivo e suonarli il più possibile per renderli anche miei. La differenza sostanziale tra i due gruppi che mi hanno visto coinvolto è che con i Dillinger suonavo con un approccio più jazz, miscelato al metal e con tantissimi stili uno incastrato nell’altro, mentre con i Coheed ho più spazio, più momenti “liberi” e meno strutture da seguire alla lettera. In definitiva credo di aver portato un’attitudine da gran lavoratore e da persona mai abbastanza soddisfatta del proprio lavoro e che vuole migliorarsi sempre e ad ogni costo. Sono fatto così, che ci vuoi fare?

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