Schizofrenici. La cosa che passa per la testa dopo l’ascolto dell’ultimo disco dei Cattle Decapitation è proprio questa. Una bella curetta in un manicomio sarebbe davvero adatta per il quartetto di deathsters di San Diego. Giunti sulle scene qualche anno fa, i nostri non si sono mai distinti in quanto a personalità e qualità della proposta musicale. Questo nuovo full-length rappresenta un passo avanti rispetto alle precedenti prove discografiche, abbastanza scialbe e prive di mordente.
Il brutal death dei Cattle è quanto di più eclettico e particolare si possa trovare in un negozio. Pazzesco. Non ci sono parole per riuscire a descrivere cosa serpeggia fra le spire delle varie tracks di questo discreto “The Harvest Floor”. Una tecnica pazzesca, spesso però quasi abusata, che fa coesistere spezzoni apparentemente diversissimi fra loro all’interno della stessa canzone. Momenti di pura follia, rallentamenti shock, duelli fra voci che si scambiano dolci convenevoli e chitarrismi forsennati. Non si riesce a star dietro all’andamento generale del disco. Credetemi, mi domando sul serio come possano fare a ricordarsi ogni minimo dettaglio di ogni song per magari riproporlo dal vivo. I momenti migliori sicuramente sono dati dalle due voci, una in screaming ed una in classico growl, in alcuni frangenti talmente marcio e gutturale da tipico effetto di lavandino intasato, che fa pensare che il singer stia letteralmente sputando le tonsille. Poi la batteria, letteralmente devastante, alcuni momenti sono puramente distruttivi, raggiungendo una velocità di blastbeat degna dei migliori Berzerker. Il gruppo mentre suona sembra in preda ad una crisi epilettica, dato il tenore di nervosità di tutta l’opera.
Fin qui tutto bene, direte, del resto questa novità nel brutal e questo miscuglio così particolare si era sentito davvero raramente. Ma il fatto di provare ad essere un pelino innovativi e dotati di inventiva, si rivela purtroppo un’arma a doppio taglio per i Cattle Decapitation. Credo sia fondamentale in un disco poter riuscire a trovare una parvenza di schema-canzone. Qui non è possibile. Ci sono centinaia di combos che fanno della tecnica il loro biglietto da visita, non solo nel death metal, ma anche, e soprattutto, nel prog ad esempio. Ma il troppo stroppia, e “The Harvest Floor” ne è la prova. Se può essere “divertente” assistere ad un eccletismo del genere, non ho per niente apprezzato il fatto di non poter trovare un filo logico su alcun brano. E’ letteralmente impossibile poterli seguire. In certi frangenti si sentono dei buchi clamorosi di idee, riempiti con accozzaglie di suoni che nulla c’entrano con il resto. E dico purtroppo, perchè questa pecca va ad inficiare un prodotto che se strutturato in modo diverso avrebbe preso quel punto in più tanto da fargli fare un notevole salto di qualità, così da avere una voce in capitolo più forte nella scena brutal del 2009. Buono a metà.

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