Premetto che Zakk Wylde è uno dei miei chitarristi favoriti di sempre e la notizia che Ozzy l’aveva scaricato mi era sembrata assolutamente inverosimile, anche se, a conti fatti, il madman ne ha guadagnato con un disco come “Scream” veramente riuscito. Attendevamo quindi un po’ tutti la risposta musicale del barbuto chitarrista e “Order Of The Black” è finalmente disponibile per poter dare sfogo alle velleità di Zakk e, manco a dirlo, risulta essere il disco più in linea con la produzione del Madman. Pur mantenendo lo stile rozzo ed ignorante delle produzioni della Società Dell’Etichetta Nera, questa uscita si ispira moltissimo al materiale di Ozzy, tanto da sfidarlo quasi sullo stesso campo. In un’ipotetica battaglia potremmo dire che nessuno esce vincitore, ma vincono comunque entrambe le parti chiamate in causa, infatti in tutti e due i casi le nuove release reggono il confronto con il passato, più o meno glorioso e ricco di consensi, delle band. Nel caso dei Black Label Society, comunque si nota un ritorno alle origini con molti più assoli di chitarra e più groove rispetto ai precedenti “Mafia” ed al penoso “Shot To Hell”, il punto più basso della carriera dei Nostri. Senza stare a citare singoli episodi, si può dire che “Order Of The Black” segua un filo logico a metà tra i brani più duri di “The Blessed Hellride” ed alcune delle sensazioni acustiche contenute in “Hangover Music Vol. VI”, il disco acustico dei BLS. In ogni caso stupisce la presenza di addirittura quattro ballate in un totale di 11 canzoni (“War Of Heaven” è solo un’intro di poco più di 30 secondi e “Chupacabra” è un assolo acustico che dimostra, come se ce ne fosse ancora bisogno, la bravura del buon Zakk) tra cui la riuscitissima e conclusiva “January”, completamente acustica.
Insomma, un ritorno sulle scene abbastanza riuscito, anche se lavori come “1919 Eternal” piuttosto che “Stronger Than Death” sono lontani anni luce e probabilmente non verranno mai più a galla nei dischi dei Black Label Society, se non per gli elementi caratteristici del loro sound, presenti sin dall’inizio nelle loro opere. Ed allora sta a noi goderci quanto di buono “Order Of The Black” ha da offrire, cioè poco più di tre quarti d’ora di intrattenimento e di musica potente con l’approccio di un compositore ormai maturo e che sa fortunatamente dosare le proprie enormi capacità a servizio delle canzoni. Nel complesso un album nettamente superiore al suo scialbo predecessore, fortunatamente, anche perché ci voleva poco a risollevarsi dopo tale passo falso. Speriamo però anche che l’irsuto chitarrista sappia allontanarsi un po’ di più dall’ingombrante ruolo di gregario di Ozzy Osbourne.

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