Accusati di immobilità dai denigratori ed elogiati da chi da sempre ne apprezza coerenza ed intransigenza. Capita, da sempre, quando si ha a che fare con i Belphegor e, nonostante qualche leggera variazione sul tema, il solito film non può che avere repliche anche all’alba della buona settima fatica. Il terzetto austriaco, qui al suo secondo album su Nuclear Blast, torna a calcare le scene con un sound, al solito, rodato e solido che nulla toglie e poco aggiunge a quanto già fatto vedere fino ad oggi.

Dieci brani, per una durata giusta e digeribile, che mostrano una band prevedibilmente fedele al proprio io ma intelligente nel cambiare pelle proponendo qualcosa che non sia una mera riproposizione del passato. Non siamo al cospetto di tre novellini ed i Belphegor sapevano, prima di tutti, di dover offrire qualche leggerissimo accorgimento ad un sound che, con pigrizia e rigidità stilistica, si sarebbe accartocciato su se stesso e sui propri temi. E’ così che Helmut e soci ripropongono la propria ferale e cruda miscela di black e death che appare funzionante e “fresca” grazie ad un ritrovato gusto per la melodia ed una cura del particolare che non ti aspetti. Fermo restando che i nostri non possono nè vogliono muoversi dal proprio background sonoro, in questo ‘Bondage Goat Zombie’ le composizioni appaiono più curate ed attente nell’inseguire atmosfere e teatralità. Conoscendo gusti ed abitudini dei Belphegor, non è difficile immaginare come questa ricerca porti a concepire un album che, oltre ad una maggiore varietà, goda di una fortissima carica tetra e blasfema. Brani oscuri come da tradizione trovano tempo e modo, tra blast beat, sfuriate di routine e scambi di testimone tra black e death statunitense, di avvolgere l’ascoltatore ipnotizzandolo prima di stringerlo nella propria morsa. Una formula ritoccata con competenza e mestiere, sapendo dove andare a piazzare la melodia in più, come alternate i nuovi break e rallentamenti al contesto ed in che modo piazzare le variazioni vocali di un Helmut sempre più versatile ed espressivo che mai.

Un piatto diverso per una pietanza che resterà appetibile per chi l’ha sempre masticata, indigesta a tutti gli altri. I Belphegor sono tornati con il proprio immutabile stile che, se alla lunga continua a dare segni di cedimento, rimane testimone di esperienza e lucidità artistiche.

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