I Bad Habit provengono dalla lontana Svezia e dopo circa vent’anni di carriera vissuti più o meno all’ombra dei grandi nomi del genere (Toto, Journey, Fair Warning ed Harem Scarem su tutti) continuano imperterriti a proporre del buon Adult Oriented Rock dalle accentuatissime propensioni melodiche, fondato su di un equilibrato rapporto fra le chitarre di mestiere e mai eccessivamente energiche di Sven Cirnski e le tastiere raffinate e cristalline di Hal Marabel. Above and Beyond, in uscita a quattro anni di distanza dal precedente Hear-Say, è stato ancora una volta ottimamente prodotto da Jonas Reingold dei The Flower Kings, mentre dietro le pelli ritroviamo il prezzemolino Jaime Salazar, avvistato già in passato tra le fila di The Tangent, Allen/Lande, Last Tribe e degli stessi The Flower Kings. Nonostante le evidenti qualità esecutive dei musicisti qui coinvolti, il punto forte del sound della band scandinava rimane ancora una volta la capacità ormai consolidata nell’azzeccare sempre (o quasi) quel refrain che ti si stampa in testa al primo ascolto, seppure inconsapevolmente. Però per suonare un genere come questo la melodia non basta, anche perché il rischio che l’attenzione si affievolisca inesorabilmente per via di soluzioni ed arrangiamenti troppo simili fra loro è sempre in agguato. Fortunatamente però in compagnia dei Bad Habit la noia è tutt’altro che presente. Si distinguono il riffone epico di Just A Heartbeat Away, l’iper-melodia di Let Me Be The One e la varietà sonora di Above And Beyond (vicina a certe atmosfere degli Heaven’s Gate di Planet E.) che donano freschezza e qualità all’ascolto. Certo, non tutta la scaletta gode del medesimo vigore, soprattutto a causa di episodi marcatamente poco ispirati e monocordi come A Lot To Learn, Never Gonna Give You Up o Let Me Tell You (tutte con evidenti reminiscenze U2) rese impersonali da un’eccessiva omogeneità delle scelte sonore e compositive. Menzione a parte invece per l’emozionante I Believe (picco assoluto dell’album) forse la più Hard Rock dell’intero lotto, aperta da un riff iniziale di chitarra dalla timbrica vagamente Ayreon e caratterizzata da un ottimo groove, con un basso mai così in evidenza a scandirne il ritmo e con armonizzazioni vocali in fase di chorus che confermano le qualità comunicative di un Bax Fehling qui memore del più ispirato Mark Boals. Anche se non siamo al cospetto di un capolavoro o di un futuro classico del genere, i Bad Habit dimostrano di sapere comporre ancora oggi dopo molti anni un AOR di buona qualità, riuscendo a non svilire il proprio sound con le pur frequenti aperture melodiche dal tono quasi pop ed anzi incrementandone la carica emozionale con una diffusa malinconia romantica di fondo (Surrender). Paradossalmente i nostri si fanno apprezzare meglio negli episodi più energici (I Need Someone, Don’t Want To Say Goodbye) dove la componente rock, forse troppo carica per essere razionalmente controllata, sfugge di mano, riportando in primo piano i contenuti, lo strumento, il sudore, il riff, per un lavoro che non potrà che soddisfare tutti gli amanti delle sonorità più raffinate.

A proposito dell'autore

Post correlati