Se vi chiedessi di associare al nome di Axel Rudi Pell tre termini che possano ben riassumere e descrivere i lineamenti della sua proposta musicale, forse alcuni di voi concorderebbero con me nel rispondere decisi scegliendo la triade “chitarrismo-tradizione-hard’n’class”. La mia non è certamente una definizione da fan accanito, però credo sia in qualche modo sufficiente per dare un’idea la più generale ma completa possibile di ciò che troverete inciso nel nuovo lavoro del chitarrista tedesco, il quale con una carriera ventennale alle spalle torna a dare battaglia con il suo diciottesimo nuovo lavoro, fiabescamente intitolato Tales Of The Crown.

Parlo di “chitarrismo” perchè il motore di questo album è senza ombra di dubbio la sei corde, abilmente dominata dal lungocrinito Pell, sempre pronto come da consuetudine a delineare il filo del discorso con soli mai egocentrici e con riff dal vago sapore epico e quasi sempre intrisi di quel loro tipico ed irrinunciabile appeal. Mentre “tradizione” e “hard’n’class” rappresentano le idee di fondo, gli archetipi, i colori base di questi sessanta minuti di musica, i quali sono da ricercarsi nella vecchia scuola Rainbow e nell’heavy metal e class anni ’80, arricchiti di quel flavour hard rock di purpleiana memoria che ha buon gioco nell’addolcire e personalizzare quel tanto che basta un sound dai contorni già da tempo ben definiti.

Come da copione i pezzi proposti sono dieci, ma non altrettante sono le caratteristiche di spicco di un lavoro tanto piacevole quanto a tratti scontato e questo non perchè le presunte novità annunciate in sede di release stentano proprio a palesarsi ma proprio perché è ben chiaro come il presente Tales sia più un lavoro di “conferma” che di “innovazione”. Le tracce sono quasi tutte basate su tempi non propriamente veloci, come il mid-tempo arioso ed ultramelodico della buona opener Higher e le marce basse della meno buona Crossfire, il cui chorus qui (e non solo qui) va a ripetersi all’infinito, senza per questo riuscire ad impattare più di tanto sulle mie celle di memoria uditiva che riservo gelosamente al salvataggio dei ritornelli indimenticabili. A volte il riffing si fa più duro e deciso (come nella title-track, che si distingue tra l’altro per un refrain finalmente azzeccato) ma senza troppa convinzione e le vocals del bravissimo Gioeli (una garanzia) sfiorano qualcosa dei Riot più recenti, pur rimanendo di volta in volta graffianti, emozionali e di buon impatto (anche nelle suadenti e non brillantissime semi-ballad Touching My Soul e Northern Lights) e contribuiscono alla creazione di quel groovy-metal-rock a cui da tempo il buon Axel ci ha abituati. Degna di nota è la divertente strumentale Emotional Echoes che si sviluppa tra hammond, chitarre acustiche, sustain e riverberi ma forse la palma di migliore del lotto va alla energicissima Buried Alive, a mio avviso l’unico brano in cui si fa metal sul serio ed in cui Terrana toglie il depotenziatore e si ritrova così libero di sfoderare se non la sua enorme tecnica quanto almeno la sua naturale mitragliante velocità. Nessuno lesina potenza ed il guitarwork si avvicina sempre più allo speed/power di classe tedesca ed anche gli assoli, precedentemente morbidi e mai avidi di spazio, si mostrano ora affamati ed ingordi di slide, bending, tapping e legati, come tradizione vuole.

Ad analisi ultimata, rimango ancora saldamente ancorato sulle mie ipotesi iniziali, per le quali la nuova prova dell’axeman di Bochum non può che essere consigliata ed indirizzata ai soli fan del gruppo, da sempre abituati ed affezionati ad un sound votato alla tradizione ed alla costanza (con risultati non sempre eccellenti). Pur non mancando episodi interessanti in cui emerge la maestria esecutiva dei protagonisti oltre che la tranquillità compositiva di gente che si porta molte primavere sulle spalle (si parla pur sempre di uno dei più noti “wizard” della scena tedesca), questo Tales Of The Crown si guadagna una stentata sufficienza, forse proprio per l’assenza di una decisa diversificazione sonora nei pezzi proposti oltre che per una penuria di potenza e di energia che forse da una band ai confini dell’heavy metal è pur lecito aspettarsi. Per i nuovi, ascolto non obbligatorio.

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