A bocca aperta, non ci sono altre parole per descrivere la sensazione che sovrasta il volto di chi ha appena concluso l’ascolto dell’opera ultima dei danesi Artillery. Il quintetto, rinato ormai più di 10 anni fa dalle proprie fumanti ceneri, sta regalando ai propri fan diverse soddisfazioni sotto forma di album sempre più ispirati. Il legame col passato è ovviamente presente, ma non solo di esso vive un disco come My Blood, opera numero sei di un gruppo che sembra voler far sentire, ancor più oggi che in precedenza, la propria voce.

Accasatisi sotto l’ala protettrice della sempre attenta ed attiva Metal Mind, gli Artillery sfornano un’opera di thrash metal duro come la roccia e contaminato da massicce dosi di metal classico. Melodie malate ed urla belluine fanno da filo conduttore per l’intera durata del disco, il quale si presenta più fresco e, paradossalmente, “ragionato” rispetto al già buono When Death Comes. A tratti si ha l’impressione che il gruppo voglia progredire nel ricercare ambiti differenti per la concezione di nuova musica.

In tutto questo la parte da protagonista la fa Soren Nico Adamsen, il quale pone il definitivo sigillo vocale ad una prova veramente maiuscola. Ottimo il riferimento alla celeberrima The Mob Rules (Black Sabbath) presente all’interno di Ain’t Giving In, ma anche l’introduzione dell’opener Mi Sangre (The Blood Song) si candida a momento migliore dell’intero album.

Insomma, un ritorno col botto per una band che ha fatto parlare di sé più in questo decennio che non nel suo periodo d’attività negli anni della fioritura del thrash. Un plauso a questi “vecchietti” del metal ed un augurio nella speranza che proseguano su questa strada ancora molto a lungo.

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