Gli Anathema hanno scritto dischi diversissimi, in mezzo ai quali si possono trovare capolavori immensi e album meno riusciti. Personalmente apprezzo in maniera particolare tutto quello che hanno fatto, soprattutto da Pentecost III in avanti, penso pero’ che il loro apice creativo sia “Alternative 4”. Questo album e’ la disperazione fatta musica, e’ pura emozione che arriva direttamente all’animo. Dopo aver espresso la rabbia di fronte al dolore con “The Silent Enigma” in “Alternative 4” viene espressa tutta l’impotenza dell’uomo (il titolo si riferisce ad una teoria secondo la quale in caso di una guerra atomica ci sarebbero solo 3 alternative per salvare l’umanita’, facile capire quale sia la quarta…).
Il disco e’ musicalmente molto intimista, pieno di brani introspettivi, anche se fanno la loro comparsa degli stacchi piu’ tirati. I testi sono il perfetto complemento, malinconici e rassegnati, capaci di toccare nel profondo…
L’apertura del disco e’ affidata ad un malinconico pianoforte, sul quale poi subentra la voce di Vincent che declama la caducita’ umana (augurandoci pero’ di non capire), e gia’ “Shroud of false” ci emoziona e ci prepara a quello che verra’… gia’, perche’ con “Fragile dreams” ci troviamo davanti ad un crescendo di potenza, che poi pero’ si risolve in un triste arpeggio che lascia spazio ad un po’ di energia solo quando viene dichiarata l’inevitabile rottura dei sogni, che sono fragili… e con una sensazione maestosa data dall’elettronica si passa ad “Empty”, un pezzo cadenzato, piu’ energico rispetto al resto del lavoro, la rabbia disperata che si prova nel sentire il vuoto dentro… Poi di colpo ci si trova di fronte ad un leggerissimo accompagnamento musicale, e una voce sussurra “life has betrayed me once again, I accept some things will never change”, che gia’ dice tutto sulla rassegnazione che aleggia in “Lost control”. E’ ora la volta di “Re-connect”, l’unico brano scritto da Vincent Cavanagh (e non da suo fratello Daniel o da Duncan Patterson, e si sente…), un pezzo “elettrico” con un certo retrogusto malinconico che alterna momenti di calma a sfuriate… Poi il silenzio, in mezzo al quale compare un pianoforte tristissimo, ma dotato di una grande dolcezza, ed inizia cosi’ “Inner silence”, superba espressione di come ci si accorga dell’importanza di tutto, compreso cio’ che crediamo di amare, soltanto quando ci viene a mancare… Alla fine tutto si esaurisce con un battito di cuore, che ci porta ad “Alternative 4”, brano inquieto e crepuscolare, capace di trasmettere un’incredibile sensazione di disagio e di malattia, impossibile da spiegare… e poi l’atmosfera cambia di nuovo ed un dolcissimo arpeggio ci introduce a “Regret”, un misto di nostaglia e malinconia, i sensi di colpa e il passato che torna fatti musica. E quando alle chitarre acustiche si unisce un suono di Hammond che si fa sempre piu’ spazio, fino a dominare le atmosfere, ci si trova in “Feel”, un malinconico pezzo sull’improvviso passaggio dalla felicita’ alla tristezza, sul tradimento da parte di qualcuno che amiamo, che ci porta alla disperazione e ad una inutile rabbia. Il disco infine si chiude con “Destiny”, nient’altro che la ninna nanna della mortalita’…
Spero che dalle righe soprastanti riesca a trasparire almeno un briciolo delle emozioni che scaturiscono da questo disco, un lavoro pessimista, che lascia sgomenti (la stessa sensazione che si puo’ provare di fronte ad un quadro come “L’urlo” di Munch, per intederci), ma che ci rende anche piu’ consapevoli di noi stessi (e questo e’ bellissimo, perche’ il disco non e’ un inno al suicidio, ma e’ anzi l’espressione del dolore di una vita che vuole andare avanti)… Un capolavoro, un disco capace di penetrare dentro come pochi altri… Da avere assolutamente.

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