Sono trascorsi quattro lunghi anni dal’ultima fatica (Black Gives Way To Blue) della band proveniente dalla cosiddetta “Emerald City”… Il gruppo musicale a cui mi riferisco sono gli Alice in Chains, e la città in questione è Seattle, patria della musica grunge.

Jerry Cantrell, storico guitarman dal 1987, Sean Kinney, drummer appartenente anch’esso alla vecchia guardia, Mike Inez, arruolato al basso dal 1993 e William DuVall, dignotoso frontman della band dal 2006, a seguito della scomparsa di Layne Staley nel 2002, presentano, il 28 maggio del corrente anno, The Devil Put Dinosaurs Here (Virgin/EMI), quinto capitolo per il gruppo statunitense, secondo col singer DuVall.

Hollow, primo singolo proposto dalla band, che risuona nelle radio degli amanti del genere dai primi di gennaio, fa da opener all’album. Il viaggio ha inizio, le atmosfere tipicamente stoner rock del brano prendono piede e trascinano l’ascoltatore a caduta libera in un polveroso pozzo senza fondo… “Silence so loud, silence, I can’t tell my up from down…”.

Le chitarre e i loro gravosi riff aprono la seconda track Pretty Done. L’aria continua ad essere contaminata di rabbia, e Cantrell, coi suoi passaggi perfetti e puliti, curati nei minimi dettagli, rende notevolmente l’idea.

Immancabile perfezione nella ritmica di Kinney in Stone, secondo singolo estratto dall’album, dove le sonorità claustrofobiche si ripetono per poco più di quattro minuti. Perfetta la combinazione DuVall/Cantrell nei cori, as usual.

Voices ed il suo fresco ritornello concedono qualche minuto di pausa dall’oscuro viaggio che stavamo percorrendo, per poi ricascarci in pieno con la titletrack The Devil Put Dinosaurs Here. Nulla è lasciato al caso, nulla è eccessivo.. Il brano ci culla dolcemente attraverso le già conosciute e pesanti atmosfere che ci affascinano e alle quali, siamo già abituati.

Lab Monkey e Low Ceiling procedono di pari passo lungo il percorso musicale proposto. Tecnicamente parlando, il trittico composto dall’ affiatamento e consonanza vocale, dall’incalzante batteria e dalla seducente chitarra, funziona alla grande.

Quando qualcosa piace, il tempo vola. Ed infatti siamo giunti, senza quasi rendercene conto, all’ottava track Breath On A Window. Con un appassionante finale che volge alla ricerca della quiete perduta, le parole cantate da DuVall si ripropongono estenuanti fino a svanire… “I’d love to go, but you’re always in the way…”.

Chitarre acustiche protagoniste assolute in apertura del brano Scalpel, seguito dalla sorprendente Phantom Limb, ineguagliabile dimostrazione di quel che la band è in grado di fare. Da ascoltare perchè, in questo caso, le parole sono superflue.

Hung On A Hook, interpretata magistralmente da un sofferente DuVall, lascia spazio all’ultima, ma non per questo tale, canzone, Choke. Gran finale firmato Alice in Chains.

CAPOLAVORO! Gli Alice in Chains, per l’ennesima volta, non deludono. Fuoriclasse assoluti! Il loro CD è uno di quelli che rimarrà nel lettore a lungo, quasi impossibile disintossicarsi. Attrazione irresistibile, vizio incorreggibile.

 

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